Ristorante Costanzo

a cura di @francesco_di_gaetano

Aversa è una città fondata dai Normanni in epoca medievale, sorge nell’aria dell’antica terra di lavoro nota anche come Campania Felix ; proprio in queste terre troviamo prodotti di grandissima qualità, tra cui la mozzarella di bufala campana DOC e il vino a bacca bianca Asprinio di Aversa DOC, famoso per la tipologia di coltivazione a vite maritata (il vigneto infatti si sviluppa in verticale ad altezze che arrivano anche a 15 metri , sostenuti da pioppi che fungono da tutori, per la raccolta si utilizzano scale a pioli in legno molto strette, questa particolarità rende il vigneto unico nel suo genere).

Ed è in questo contesto enogastronomico che troviamo il ristorante Costanzo che fa capo al Mini-caseificio Costanzo, azienda che fa della qualità e della ricerca il suo punto di forza da sempre.
Dalla Primavera del 2011 Agostino Malapena dirige la cucina del ristorante; lo chef dopo numerose esperienze all’estero ritorna nella sua terra d’origine lavorando per tre anni nelle prestigiose cucine del Ristorante Don Alfonso **Michelin.

La location segue uno stile minimal e moderno con una predominanza del bianco che rende l’ambiente più ampio e pulito. La carta dei vini è ben strutturata, tante le proposte del territorio che si completano con una selezione di vini provenienti da molteplici regioni italiane. Il menù è intrigante e fantasioso, come al solito scegliamo il percorso degustazione per entrare nel cuore dell’ideologia culinaria dello Chef. Partiamo con un amuse-bouche composta da due polpettine; una fritta ed una al ragù e una tartelletta ripiena di caciocavallo del caseificio.

Ci sono stati serviti come antipasti, un polpo con insalatina di asparagi e patate, pomodorino semi dry, caviale di aceto balsamico e colatura di alici di Cetara, e una battuta di Marchigiana I.G.P con salsa alla pizzaiola, stracciata di bufala e crackers di tarallo.

Sono seguiti poi due primi : riso riserva San Massimo mantecato con zucchine in fiore, vongole veraci in sautè, tartufo nero estivo; ravioli capresi ripieni di caciotta Costanzo con maggiorana e pomodoro.

Per secondo invece ci è stata servita un ottima ombrina all’acqua pazza, abbiamo concluso il percorso prima con un bonbon semifreddo alla vaniglia ricoperto di cioccolato bianco ed infine col dessert : un Limone!!!!! In effetti il dolce era una perfetta riproduzione dell’agrume che racchiudeva al suo interno una gustosa delizia al Limone.

Per accompagnare la degustazione Asprinio DOC “Santa Patena”, caratterizzato dalla freschezza tipica del vitigno ben bilanciata da una morbidezza sorprendente.

Al termine della bella esperienza abbiamo avuto il piacere di incontrare lo Chef e di complimentarci per la sua cucina che rappresenta il prodotto finito del piccolo universo Costanzo che va dall’azienda agricola (che si trova a Pontelatone nell’alto Casertano) al caseificio di fianco al ristorante.

Infine abbiamo illustrato allo chef ed alla brigata anche il concept del nostro blog, ci siamo salutati con la tradizionale foto di rito de “Idueghiottoni”.

UTIA CIAMPCIOS, un paradiso nel Parco Nazionale Puez-Odle

a cura di Chiara Trò (@calicivagabondi)

Durante le mie vacanze in Alto Adige, da qualche anno a questa parte, una escursione la dedico sempre all’Utia Ciampcios a Longiarù, incantevole frazione di San Martino in Badia.

I sentieri per arrivare alla malga sono meravigliosi: puoi scegliere se camminare lungo la strada forestale che sale dolcemente tra abeti e prati fioriti oppure il sentiero più ripido in mezzo al bosco tra pini mughi e pini cembri, il tutto avvolto da meravigliosi profumi di resina e con la bellissima visuale delle imponenti Odle sullo sfondo.

L’Utia è gestita da Noemi e Rafael, due fratelli molto gentili e preparati che propongono taglieri di salumi e formaggi artigianali e cibo tipico di qualità con ricette genuine preparate in casa.

Appena arrivata, accaldata dalla salita, per rinfrescarmi ho optato per un bicchiere di birra artigianale della Val Gardena del birrificio Monpiër de Gherdëina.

Io ho bevuto l’Amber Ale “Odles 3025”. All’aspetto si presenta di un bellissimo color rame brillante e con una densa e consistente schiuma e dalla lieve carbonazione. Questa birra mi ha colpito per la sua morbidezza data dalle note di biscotto, caramello e da un delicato accenno di nocciola.

Dopo essermi rilassata ammirando il panorama, ho ordinato un tagliere misto di salumi e formaggi accompagnato da un calice di Kerner della Cantina Valle Isarco. Di colore giallo paglierino, questo meraviglioso vitigno semi aromatico dona al vino intensi profumi di erbe di montagna e di frutta a polpa bianca.   

Il sorso è ricco, fresco e di buona struttura e conferma quanto sentito al naso.

Il Kerner è un incrocio tra Schiava Grossa e Riesling Renano creato in Germania nel 1929 dal botanico August Herold. Il vitigno, poi, fu chiamato così in onore di Justinus Kerner, medico e poeta tedesco che ha composto poesie sul vino.

Si tratta di un vitigno resistente a basse temperature e per questo motivo il suo habitat ideale sono i ripidi pendii della Valle Isarco e della Val Venosta.

Io ho scoperto il Kerner qualche anno fa proprio qui all’Utia Ciampcios e da allora un calice non può mai mancare durante le mie escursioni.

Prima di ripartire per la discesa, come potevo concludere la mia sosta se non con una fetta di torta accompagnata da una soffice panna montata? Non sono riuscita a resistere alla tentazione e ho assaggiato la torta di noci e cioccolato.

Ultima chicca… mi stavo preparando per la passeggiata del ritorno quando Noemi mi ha offerto una zolletta di zucchero imbevuta di alcol e aromatizzata con chicchi di caffè ed altre spezie. Una ricarica perfetta per la discesa! Utia Ciampcios, una fra le escursioni più belle in Val Badia che rimane sempre nel mio cuore…se siete in vacanza da quelle parti dovete assolutamente andarci!!

ALLA SCOPERTA DELL’AZIENDA AGRICOLA FRATELLI GUGLIELMINI

a cura di @miry_andre

La collina di San Colombano, si esprime in tutta la sua bellezza come se fosse un’isola tra la pianura lodigiana e la bassa pavese, a 40 km da Milano, una trentina da Pavia e 15 da Lodi. 

In questa piccola, ma strepitosa zona, in cui la presenza della viticoltura si rileva già dall’epoca romana, nel 1984 è nata la DOC SAN COLOMBANO, i cui paesi sono Graffignana, Sant’Angelo Lodigiano, per la provincia di Lodi, San Colombano al Lambro, per quella di Milano, e per quella pavese, Inverno Monteleone e Miradolo Terme.

Proprio in questo ultimo paese, ha sede l’Azienda Agricola Fratelli Guglielmini, che da 150 anni si occupa di vino, riso e in precedenza anche latte, insomma una famiglia che ha a cuore la natura e quello che può offrire se la si tratta con il rispetto che le è dovuto.

E loro ne hanno molto per questa amata terra, lo si capisce da subito, già da quando telefoniamo per confermare la visita per la domenica e ci risponde la madre dei Fratelli, che riferisce che richiameranno appena rientrati dalla collina, perchè non ha importanza che giorno sia della settimana, se sia festivo o meno, la terra ha bisogno della fatica e della passione quotidiana e, come dice la Signora, la collina sta andando bene, ci viene da pensare, come a ringraziarli per le tante cure e attenzioni che le dedicano da sempre.

Domenica 5 Giugno arriviamo puntuali per la nostra visita: ci accolgono Marco e suo padre Giuseppe, che ci conducono subito alla cantina di vinificazione, dove ci raccontano un po’ la loro storia e le problematiche inerenti al cambiamento climatico, che purtroppo sta coinvolgendo anche la collina di San Colombano.

Chiediamo se sia possibile visitare i vigneti e ci accompagnano con la loro macchina su per la collina verdeggiante e soleggiata; Marco ci spiega le due forme di allevamento che hanno scelto di adottare: la pergola e la spalliera.

Inoltre, ci illustra tutti i tipi di uve che trattano, CroatinaUva RaraBarberaMalvasiaVerdeaPinot NeroChardonnay e ce ne mostra la maggior parte; gli chiediamo come si possa distinguerne una dall’altra in un immenso campo coltivato e lui ci spiega che dobbiamo guardare la foglia  e il grappolo; si sofferma in particolare sulle differenze morfologiche tra la foglia del Pinot Nero e quella dello Chardonnay.

E’ meraviglioso attraversare questi corridoi inerbiti, essere circondati da miliardi di sfumature di verde e percepire “la vita della vite” che cresce silenziosamente con la speranza di dare presto il meglio di sé. Che emozione, chissà cosa le riserveranno i prossimi mesi!

Torniamo in azienda. Marco, che non si stanca un attimo di rispondere a tutte le nostre domande, dimostrandosi sempre molto preparato ed aggiornato su ogni argomento inerente la viticoltura, ci racconta  che loro adottano su tutta la linea di produzione una politica di impatto zero sull’ambiente, con l’utilizzo dell’energia solare.

Il tetto dell’azienda infatti è sormontato da pannelli fotovoltaici che permettono la produzione costante di energia pulita in grado di alimentare la maggior parte del processo produttivo.

Iniziamo la degustazione in una stanza dove sono stati preparati dei piatti con prodotti tipici della zona e ci sentiamo in famiglia, perchè arriva il figlioletto entusiasta ed allegro, che vuole condividere con noi la degustazione e mamma e nonna, che cercano di riportarlo a casa, ma niente da fare, lui vuole stare con noi, soprattutto con il suo papà: il clima è sereno e divertente, noi continuiamo ad imparare cose perchè Marco ci spiega instancabilmente altri aspetti tecnici della vinificazione. Assaggiamo subito tre bianchi, San Colombano doc, uno fermo e uno frizzante, e Malvasia, frizzantina anche lei. Con il caldo tremendo che affligge la giornata, questi tre vini ci rinfrescano e rallegrano con i loro profumi floreali, la loro vivacità e immediatezza di beva.

Conclude la degustazione un San Colombano Rosso Fermo, ottenuto da uve Barbera, Croatina e Uva Rara, dal bel colore rosso porpora, sentori di frutti rossi, che in bocca è morbido e piacevolissimo, fantastico con il salame e gli altri stuzzichini in tavola.

E’ il momento degli acquisti, ce ne andiamo con due scatoloni pieni di vini, anche quelli che non abbiamo assaggiato in degustazione, come l’ottimo metodo charmat Perla d’Oro (Pinot Nero 15% e Chardonnay 85%) che abbiamo poi bevuto a casa in una delle nostre cenette estive.. ah già, non è ancora estate, ma il caldo dice il contrario e questa bollicina fresca, fruttata, minerale, e deliziosa ci ha allietato sicuramente la serata.

Infine, facciamo una bella scorta anche di riso, perchè, ve lo avevamo detto che la famiglia Guglielmini, produce anche riso? Certo, Riso Carnaroli Superfino, sia bianco, che semi integrale. Volendo, si possono acquistare anche prodotti realizzati dalle aziende vicine, cosa che dimostra un rispetto e un’unione tra i produttori della zona.

Non ci resta che ringraziare questa famiglia di sapienti lavoratori, amanti della loro collina e della cultura della vite e del vino, che ci hanno regalato una mattinata interessantissima ed istruttiva, arricchendola anche del piacere dato dai loro vini profumati e sinceri.

Poggio Rosso: Birrificio tra storia musica e famiglia.

Peccioli, comune toscano, ospita una serie di aziende che hanno aderito ad una linea di azione della comunità europea in linea con la strategia di sviluppo del territorio attraverso la trasformazione di prodotti provenienti dal terreno.

Tra queste vi è il birrificio agricolo Poggio Rosso di Fernando Campana.

Fernando, che dal cognome si intuisce non essere propriamente toscano, ha deciso di lasciare i propri studi in campo economico e dedicarsi a tempo pieno alla tradizione legata al lavoro della Terra che i suoi genitori portano avanti sin da quando, da Campoli del monte Taburno, si sono trasferiti nella Val D’Era.

L’amore per la famiglia e, quindi, per la terra traspare dai suoi occhi e dalle sue parole.

La “fatica” non lo spaventa anzi ne parla con emozione. La sua idea nasce dalla convinzione che raccogliere semplicemente i cereali, stoccarli e venderli fosse riduttivo. Come per l’emigrazione dei suoi genitori si è dovuto reinventare e investire nella trasformazione per produrre birra.

Dietro questa nuova visione c’è tanto altro. C’è studio (vedi collaborazione con università di Perugia per la Pils).

C’è cultura: ad esempio, i romanzi “Furore” di John Steinbeck e “Pastorale Americana” di Philip Roth hanno ispirato due delle birre in produzione.

C’è musica: la sua passione per la musica (Fernando è un bassista) e la sua devozione per David Bowie, lo ha ispirato per un altra produzione brassicola, la Ging Genie.

La location che ospita il birrificio è incantevole. Campi di cereali attorniano il birrificio all’interno un locale a due piani ove è possibile degustare le birre sia alla spina che in bottiglia.

Non poteva mancare un accompagnamento “cibesco”. La moglie Katia, influenzata dalla tradizione campana trasmessa dalla suocera, delizia il palato con pizze, focacce, oltre a salumi e formaggi tipici toscani. Il mix risulta essere delizioso.

Ci piace evidenziare come, accanto alla bontà delle birre le quali sono ancora in evoluzione proprio per la passione di Fernando verso lo studio e l’alchimia dei luppoli, Poggio Rosso rappresenti un contenitore di emozioni, di storia, di famiglia, di terra (intesa nel senso più nobile del termine).

In bocca al lupo Fernando!

FINALMENTE DA INNOCENTI EVASIONI!

a cura di miry_andre

Da tempo desideravamo provare questo ristorante e finalmente sabato ci siamo riusciti! Siamo stati emozionati per tutto il giorno, continuando a domandarci quale menù scegliere; sì, perché nel piccolo gioiello di Tommaso Arrigoni, lo chef che gestisce questo luogo incantato da ben 23 anni, si può veramente spaziare tra diversi tipi di proposte, proprio per venire incontro a tutti i gusti e non solo…

Nella piccola via privata della Bindellina, ci troviamo davanti ad una prima porta a vetri, sotto all’insegna INNOCENTI EVASIONI GIARDINO RISTORANTE,  entriamo e ci troviamo di fronte ad un’altra porta con a fianco un campanello che suoniamo, come se dovessimo entrare nell’appartamento di qualcuno e immediatamente, veniamo accolti e accompagnati, nella meravigliosa sala in cui ceneremo.

L’atmosfera è subito intima, magica, la luce soffusa delle candele, la sala ancora poco affollata, ci permette veramente di gustare tutti i particolari. Ci viene consegnato il menù, chiesto se desideriamo iniziare con una bollicina e noi accettiamo felici, scegliendo una Cuvée 22 Castello Bonomi Franciacorta, chardonnay in purezza, che ci inebria subito di quella sua freschezza ed allegria regalata dalla frutta, come pesca, ananas, albicocca, ma anche mela e fiori bianchi.

Mentre iniziamo a rilassarci, proprio lui, lo Chef, si avvicina al nostro tavolo, ci dà il benvenuto (wow, che emozione!), prende l’ordinazione: optiamo per il MENU DEGUSTAZIONE, con l’abbinamento dei vini proposto dalla loro Sommelier, Lucia Gatti.

Nell’attesa che inizi il nostro viaggio tra le creazioni del menu prescelto, ci viene offerto un piccolo crostino di pane di segale con acciughina e burro montato, che appena assaggiato, si propaga nella bocca con un equilibrio di sapori incredibili! Se questo è l’inizio…

La Sommelier ci serve il primo vino, che è proprio la stessa nostra bollicina di benvenuto, abbinato al piatto che sta per arrivare, Tonno rosso del Mediterraneo, asparagi bianchi marinati alla vaniglia e burro di nocciola; già alla vista percepiamo armonia e bellezza, che poi riscontriamo quando lo assaggiamo: ogni piccolo frammento di cibo si rivela da solo nella sua genuinità, e nell’insieme in una giostra di sensazioni pazzesche. In particolare sono colpita dal sapore delle nocciole, che mi fanno tornare alle estati dell’infanzia in montagna, quando andavo a raccoglierle con il nonno e le assaggiavo immediatamente.

Il primo piatto, Ravioli del plin ripieni di polpo, crema di carciofo tardivo, mozzarella di bufala, succo di mirtillo, ci conquista innanzitutto per la fusione perfetta delle due creme in bocca, insieme a questa pasta ripiena in cui senti il sapore del polpo distintamente e il tutto ti fa provare veramente un’esperienza unica. L’abbinamento questa volta è con un vino rosato Pinot Grigio Rosè ’20 Bosco del Merlo, dal colore tenue e delicato, in cui si percepiscono fragoline di bosco e pera, mentre in bocca ti lascia proprio una bella sapidità.

E passiamo al piatto che ci ha lasciato completamente a bocca aperta per la sublime presentazione: Cosciotto di agnello, radice di prezzemolo, pomodoro camone, bergamotto.

Un girotondo di colori e sapori che danzano nel palato evidenziando la delicatezza della carne e la salsa decisa, combinato con le patate viola e i pomodorini gialli: sembra quasi di essere in un quadro. Il perfetto abbinamento è il  6D3 Monferrato Rosso DOC ’18 Arrilonga, vino prodotto dalla cantina dello Chef nel Monferrato, che come lui ci racconta successivamente, è nato quasi per gioco… un vino rosso rubino con sentori fruttati ed erbacei che in bocca lascia una buona persistenza e ti fa venire voglia di chiederne un altro, cosa che abbiamo fatto, ovviamente!

Ora ci viene servito un profumatissimo Sauternes ‘19 Chateau La Garenne, che ci inebria l’olfatto e ci prepara ai due piatti stupendi che seguiranno: Foie gras d’anatra in terrina, composta di frutta, pan brioches e Selezione di formaggi verdure candite, chutney e mostarda di frutta.

Per chiudere questo viaggio nel regno di Arrigoni, segue il dolce, Crostata al frangipane, rabarbaro al pepe di Giamaica, gelato di bufala e cocco, che ci abbinano a sorpresa ad un vino aromatizzato liquoroso, l’Agricanto, sempre di Casa Paladin, “a base di vino raboso, che già di per sé ha un pronunciato aroma di ciliegia, a cui vengono aggiunti grappa, alcol, un poco di zucchero, succo di ciliegie selezionate e un mix di erbe e spezie”, come successivamente approfondiamo dal sito di questa azienda che ci ha molto incuriositi.

Infine chiudono le danze con la piccola pasticceria, con cui terminiamo anche il nostro Agricanto, estasiati da tutti questi meravigliosi sapori.

Prima di andare via, in punta di piedi , per non disturbare la pace che regna tra i pochissimi tavoli all’esterno, diamo una sbirciatina all’incantevole giardino zen, un luogo davvero intimo e verde, in cui trascorrere un’altrettanto piacevole serata, fuori dal mondo, come abbiamo fatto noi.

Il viaggio tra questi sapori è terminato, ci rechiamo in cassa con lo Chef Tommaso che per tutto il tempo della cena ha tenuto un occhio sulle sale, uno sulla cucina e il cuore sempre sugli ospiti, per vedere che tutti stessero bene e fossero soddisfatti; è subito disponibile a fare uno scatto con noi e a scambiare quattro parole; gli chiediamo del suo vino e lui con molta modestia e sincero interesse, ci racconta delle sue idee per i prossimi vini e noi non possiamo che ringraziarlo per il viaggio in cui ci ha accompagnato stasera e  augurargli un grande in bocca al lupo per tutto quello che verrà!

Un menzione specialissima, unita ad un immenso ringraziamento è per Lucia Gatti, l’esperta Sommelier che ci ha raccontato i vini e risposto a tutte le nostre mille domande. Infine, non possiamo non essere grati a tutto il personale di sala, ragazzi attenti, gentilissimi, e preparatissimi che hanno collaborato a rendere perfetta la nostra serata.

‘A luna rossa: un’oasi nel deserto

a cura di francesco_di_gaetano

Il ristorante pizzeria ‘A Luna Rossa’ si trova a Bellona, località nell’agrocaleno.

Il locale è gestito da Lorenzo Pascarella Sommelier vino e Degustatore d’olio extravergine d’oliva.

Lorenzo è riuscito grazie alla sua passione e conoscenza dei prodotti del territorio a rendere il suo ristorante un posto unico, dove tradizione ed innovazione trovano il giusto compromesso.

Il locale è semplice ma al contempo elegante. Il personale è attento e gentile e la carta dei vini è degna di un ristorante stellato, in quanto spiccano, oltre alla ricca proposta regionale, il gran numero di etichette nazionali e internazionali, il tutto con un eccellente rapporto qualità prezzo.

È d’obbligo soffermarsi anche sulla pizza di Dario Pascarella, fratello di Lorenzo, altro punto forte del locale, che presenta un impasto leggero e ingredienti di prima scelta, molti dei quali presidio Slow Food come ad esempio il Pomodoro di Corbara, il Conciato Romano, Cipolla Alifana ecc.

Il menù è molto curato, e spazia tra piatti tradizionali e abbinamenti più ricercati ed è in continua evoluzione, proponendo piatti diversi a seconda dei prodotti stagionali, come ad esempio l’antipasto “km 0” che è composto da un mix di monoporzioni di terra sempre diverse. Piatto emblematico, che consigliamo di assaggiare, è lo “spaghettone aglio olio e peperoncino con crema di cavolfiore, colatura di alici e pane croccante”. È doveroso menzionare anche il “raviolo ripieno al baccalà servito con crema di ceci” e anche il “papero in giardino” ovvero petto di papero cotto a bassa temperatura servito con una giardiniera in agrodolce (un piatto che ci ha emozionato e che ricorda il tipico “papero mbuttunat” che si prepara in alcuni comuni dell’agro caleno durante il periodo della festa patronale).

Infine, non potevamo non menzionare i dolci tradizionali, spesso riproposti in chiave moderna, come il tiramisù, la millefoglie e la variazione al cioccolato (serie di assaggi di diverse tipologie di cioccolato, proposte in diverse consistenze).

In conclusione, possiamo affermare che ‘A Luna Rossa’ è una certezza nel panorama culinario del posto.

Se siete di passaggio in zona lasciatevi coccolare dall’offerta enogastronomia e dall’ospitalità di Lorenzo e di tutto il suo staff.

Le Trabe: uno scrigno di passione e nuove idee

Se la classe non è acqua, a Le Trabe la peculiarità della classe, eleganza e innovazione sta nell’acqua e nel vino.

“Acqua” perché la cascata e il ruscello fanno da sfondo scenografico ad una location incantevole. Ma non solo. Proprio l’acqua ha consentito a Le Trabe di ricevere il riconoscimento della stella verde Michelin, oltre a possedere già dal 2012 la tradizionale stella Michelin. L’ecosostenibilità de Le Trabe si palesa proprio per la fonte d’acqua che crea energia per l’intera struttura. Una centrale idroelettrica fa da motore per energia pulita all’intera tenuta Capodifiume.

I Fratelli Chiacchiaro rilevarono la tenuta nel lontano 1990, sostanzialmente in stato paludoso. Dieci anni dopo iniziarono i lavori. Oggi ci regalano una struttura che guarda al futuro (con pochi rivali!). Quella visione oggi continua riportando alla luce un tesoro: la nuova cantina. Per i monaci era il mulino. Oggi è lo scrigno per circa 800 pregiate etichette di vino, l’altra parola chiave di questo nostro resoconto esperienziale.

Simone Monzillo, giovane sommelier e maître di sala, già vincitore del premio “Migliore emergente sala centro sud” edizione 2022, ci raccontava che proprio dalla nuova cantina l’ospite, oltre a degustare bollicine e un aperitivo di benvenuto, potrà scegliere il menu e farsi consigliare sul vino da abbinare. L’ospite potrà infatti aprire letteralmente i cassetti che custodiscono le bottiglie, tenute ad una temperatura tra i 12/14 gradi e in umidità tra 65/75%. Condizione climatica ottenuta senza l’ausilio di sistemi di refrigerazione. Questo grazie alla operosità dei monaci benedettini. 

La serata di inaugurazione della cantina è stata impreziosita dalla presenza di più ristoranti del calibro di Masseria Calderisi di Fasano con lo chef Pietro Sgaramella, Villa Eleonora di Capaccio-Paestum con lo chef Mario Marra, Le Sirenuse di Positano con lo chef Gennaro Russo! Gli chef ci hanno deliziato con delle creazioni tra le quali ci piace ricordare le “Cialledda”, “Babà al basilico con ricciola affumicata, cremoso al caprino, piselli e semi croccanti”, “Gamberi, Arancia e Burrata”.

L’executive chef Rispo ci ha, invece, deliziati con i mini cubotti di crudo, frittatine di polenta, di alici e le classiche. A malincuore, siamo dovuti andare via sul più bello: il primo dello chef. Questo ci impone (per nostra fortuna!) di ritornare per riprendere il “discorso” e portarlo a termine. A presto rivederci.

MADREMIA: tradizione e sperimentazione

In una tarda serata di maggio, trovare la disponibilità ad accoglierti in una pizzeria non è da tutti. Poi metti che ti è stata consigliata dall’amico chef Angelo Limone; aggiungi che l’ingrediente principale è il lievito madre e che il patron chef Giovanni Arvonio è della scuola Alma di Gualtiero Marchesi, mai scelta fu più azzeccata di “disturbare” Madremia.

Da Madremia, il mastro pizzaiolo Mariano Testa custodisce e rinnova quotidianamente un lievito madre secolare che lui alimenta da 10 anni. Noi ci siamo affidati proprio a lui per la scelta delle pizze.

Ci ha voluto deliziare con un classico della pizzeria, naturalmente rivisitato, “la marinara a modo nostro”, e un piazza legata ad un classico, invece, della cucina italiana, anche questa rivisitata, “la Genovese sbagliata”.

Non potevamo che rimanere piacevolmente sorpresi per i gusti variegati e ben miscelati con alcune delle eccellenze territoriali.

Naturalmente la nostra attenzione si è soffermata sull’impasto. Niente farina doppio zero, ma un blend di farina di grani antichi e farina “0”, unite entrambe dall’8% di quel lievito madre secolare.

Un rito, quello del rinnovamento del lievito che affascina ed emoziona. La stessa emozione che, assieme alla “fatica” traspariva dagli occhi di Mariano!

Non si può non menzionare la presenza della sommelier Sofia Aliberti, che impreziosisce l’esperienza con gli abbinamenti pizza vino e non solo. La sperimentazione di Sofia, va ben oltre i consigli in tema enologico, ma, per chi volesse, si affacciano al mondo dell’olio e delle acque.

Ricordiamo con particolare emozione (si, emozione!) il consiglio sul babà caldo con crema chantilly e amarene abbinato ad un digestivo alla camomilla e alle erbe del Vesuvio.

L’Irpinia aveva proprio bisogno di recuperare quel gusto di tradizione unita alla sperimentazione che Madremia ha saputo ben cogliere, rivolgendo il proprio sguardo al futuro.