I due Ghiottoni fanno visita “A casa di Dionisio”: mai nome fu più azzeccato! È il posto in cui trovi il clima accogliente di una casa e il suo aspetto descrive esattamente la famiglia di Dionisio, il proprietario. La semplicità di un uomo che è nato nell’ambiente della ristorazione unita all’originalità etnica della chef e moglie Adriana, oltre a loro figlio sommelier.
Dionisio ha scelto di ripristinare il luogo in cui aveva
investito suo padre, in una chiave più moderna e che rispecchiasse di più
l’identità della sua famiglia.
Nella scelta della cena non abbiamo avuto alcun dubbio a
fidarci di lui. Sapori di un tempo, dove la tradizione campana si unisce alla
grande rivisitazione brasiliana, senza troppo eccedere. Tra tutti i piatti,
vogliamo citare per originalità e gusto la parmigiana con gelato al pomodoro e
una buonissima pappardella al ragù di cinghiale.
La carta dei vini completa come quasi mai trovata, rappresenta quasi tutte le nazioni. Dionisio ci racconta che la sua cantina ha circa 12.000 bottiglie, forse una delle prime in Campania. Noi abbiamo omaggiato il Cile con un cabernet sauvignon del 2016, tra i vitigni più coltivati nella zona Aconcagua.
Ascoltare Dionisio, davanti al calore del suo camino, le
storie internazionali di cui è protagonista lui e tutta la sua famiglia, i suoi
futuri progetti: ecco la casa di Dionisio è davvero un’esperienza tra gusto,
tradizione, famiglia e storia.
Certamente non mancheremo ai suoi prossimi progetti, sempre
immersi nei luoghi sanniti, per cui è già particolarmente emozionato e di cui
non possiamo spoilerare nulla. Siamo certi: ci emozioneremo anche noi!
Sembra quasi un accenno alla scala musicale, ma “Da Re Mì” è una pizzeria che suona una sinfonia di gusto.
Crediamo che innovazione e tradizione si siano unite in un mix perfetto per una pizza da non sottovalutare. Il locale, piccolino ed essenziale, senza troppi accorgimenti estetici, ti accoglie senza troppe pretese rispetto ad una pizza eccellente, una delle più buone della zona.
La genuinità delle materie prime utilizzate, la tradizionalità delle preparazioni si uniscono alle sapienti mani del giovane Simone Aminta, maestro pizzaiolo, affiancato dall’altrettanto giovane e promettente Aniello De Fazio. Simone porta al “Da Re Mì” una pizza con una lievitazione di 48 ore e una farina tipica della pizza napoletana classica ovvero la “Costa d’Amalfi” di Molini Pizzuti, oltre che una esperienza a 360° nel mondo della ristorazione e della farina.
L’esperienza ghiottona ha visto protagonista la pizza al ragù con un immancabile assaggio della più tradizionale, ma la regina, margherita e una inaspettata pizza alla genovese. Dobbiamo dare, a questo punto, merito alla Sig.ra Margherita Urciuolo che nelle salse ci ha messo tutta la storia, la tradizione, l’emozione dei classici sughi “ragù alla napoletana” e “genovese”. Sulla pizza non hanno stonato e non hanno prevaricato sull’impasto leggerissimo e gustoso del mastro pizzaiolo Aminta.
Sempre alla Sig.ra Margherita dobbiamo dare merito del fritto misto, rigorosamente preparato artigianalmente, ed in particolare della frittatina di pasta e dei crocchè. In sala uno staff più che dignitoso, sotto l’occhio vigile di Remigio Montella, colui che ha suonato la prima nota della sinfonia “Da Re Mì”. Appassionato ed oculato, sempre tranquillo perché sicuro della forza di gusto di quanto servito alla pizzeria “Da Re Mi”.
Officine COVA’ nasce dall’idea di tre amici, Cristian,
Valentino e Orazio di creare un bar/pub alternativo. Un arredamento industrial
interamente creato dall’artigiano Antonio Russo e il suo team di
Woodmetalgarage da un’idea dell’architetto Danilo Russo.
Arrivando al COVA’ noterete
immediatamente parte di un Ford Transit applicato al muro esterno del locale
idea originale e di buon impatto, subito accanto un porticato in ferro, dove si
adagiano alcuni tavolini colorati in ferro. Bidoni di olio motore fanno da
arredamento per chi vuole consumare in piedi un bel bicchiere di birra. Vecchi
frigoriferi adagiati a terra vengono riutilizzati come fioriere, mentre aromi
come menta, basilico, rosmarino e citronella fanno da contorno all’ingresso.
L’interno è certamente di gran gusto:
entrando si nota la colorazione verde petrolio mista a un nero che ricorda il
bancone, interamente realizzato a mano.
Sulla sinistra spicca una mega
chitarra elettrica che si adagia sulla parete. Un pianoforte fa da
portabottiglie, circa 15 tavoli e un piccolo prive soppalcato.
Un grande bancone rettangolare fa da
cornice a diversi distillati, in particolare segnaliamo Fred Jerbis, Gunpowder,
Chase gusto pomelo e pompelmo.
La chicca è certamente
il pentagramma in ferro che con le sue note accompagna i clienti tra un tra una
birra e un caffe.
Il menu è certamente originale, i
panini del COVA’ sono ben assortiti e gli ingredienti sono il pezzo forte.
Il bun artigianale nasce dalla
ricetta dello chef Mirko Guastadiscegni, eclettico giovane caudino ormai
trapiantato in costa azzurra. Una vocina ci fa anche sapere che presto lo chef
Guastadiscegni si trasferirà al COVA’ per un nuovo è innovativo menu… ma
questa è un’altra storia che vi racconteremo.
Otto burger, tutti da gustare
accompagnati dalle ottime birre che Valentino saprà consigliarvi, in
particolare segnaliamo :
FLOWERS BURGER – Hamburger
accompagnato da crema di zucchine, caciocavallo, guanciale croccante e un
magnifico fiore di zucca in tempura.
FUNGITIELLO BURGER – Culatello ,
provola fondente, melanzane a funghetto. Il tutto amalgamato da mayo al
basilico homemade.
Menzione speciale invece va al
MORTAZZA BURGER. Il nome già riporta all’ingrediente principe, ma non
dimenticate la burrata di Andria , la crema di pistacchio di Bronte e hamburger
di 200 grammi …insomma una delizia per il palato.
Il COVA’ è anche bar e al bar c’è
lui: Orazio, sempre sorridente e disponibile ad assecondare ogni desiderio di
clienti esigenti.
La cucina è affidata allo chef
Carmine Signore che come sempre non tradisce le attese riscoprendo la sua
innata passione per la cucina e il mondo della ristorazione. Come si dice: il
primo amore non si scorda mai! In cucina, in supporto allo chef, c’è
Mariarosaria Fucci (@pentolemattarello), mamma e influencer che dedica parte
della sua vita alla passione per la cucina.
Infine c’è Cristian che non abbiamo
ancora ben capito cosa faccia, ma ci assicurano essere parte del progetto.
Naturalmente si scherza e lo facciamo per evidenziare l’assoluta serenità che
vige tra i clienti e il personale tutto del COVA’.
Ringraziamo Cristian Valentino e
Orazio per l’invito a presto rivederci.
Esclusività ed attenzione al territorio. Queste le prime impressioni a pochi giorni dall’arrivo presso la struttura del gruppo “Bluserena”.
L’attenzione posta ai servizi e, prima di tutto, all’ospite sono i baluardi dell’onnipresente Direttore (Moreno Donvito). Sì: onnipresente! Ma non è in accezione negativa, quanto, piuttosto, per mettere in evidenza quanto la sua presenza fisica sia, a tratti, inaspettata, ma quasi sempre rassicurante. Il vero cuore pulsante del Kalidria è lui. Ma non perché sia il Direttore. Il Direttore ha un’attenzione appassionata per tutta la struttura: dalla hall, al bar centrale, al ristorante, alla spiaggia. È sempre pronto a darti spiegazioni e ad affrontare eventuali situazioni “critiche” o presumibilmente tali. Lui rende qualsiasi perplessità dell’ospite una sfida e l’affronta senza paure, senza incertezze. Questo modo di fare dà sicurezza all’ospite. In qualche modo rende questa struttura quasi familiare, nonostante l’imponenza dell’ingresso e l’estetica (tutta immersa nel verde della riserva) moderna che, a primo acchito, può incutere soggezione.
Si può quindi aggiungere
un’altra impressione che, però, viene fuori quasi alla fine del soggiorno: la
familiarità. Si sottovaluta, probabilmente, il servizio navetta: il trenino che
ti da la possibilità di osservare la riserva, a tratti selvaggia, a tratti
“devastata”, fino alla spiaggia. Ma quel trenino, tipico di una struttura
organizzata a “villaggio”, spezza un po’ quel distacco di un 5 stelle. Anzi, il
viaggio di circa dieci minuti, diventa occasione per conoscere gli altri
“viaggianti”.
A proposito di “villaggio”, il “Kalidria”, appartenente all’esteso complesso di
Castellaneta Marina, è costruito in disparte rispetto alla struttura principale
che, in tutto e per tutto, ricorda il tipico “villaggio turistico”. Questo però
non priva l’ospite di poter raggiungere, tramite un percorso su legno, i
servizi principali: negozi, anfiteatro con spettacoli serali ecc.
Una menzione speciale va alla cucina. Pur essendo una cucina
che lavora su “grandi” numeri, la qualità del cibo e l’estetica dei
piatti non delude l’aspettativa. Nella grande brigata guidata dallo chef
Giuseppe Quinzi ( superlativo il suo ragù, ricorda molto da vicino il famoso
ragù napoletano “O’ragù del guardaporta”), tra tutti spiccano il giovane
patisserie chef Pietro Letizia e il giovane sommelier , ma pieno di esperienza
internazionale Lanfranco di Biase. Il responsabile di sala Daniele Russo
attento alle esigenze dei numerosi ospiti.
Segnaliamo il perfetto funzionamento del wifi in
spiaggia, la dolce atmosfera che crea il maestro Alex De Vito, che con la sua
delicatezza accompagna gli ospiti tra un aperitivo e un digestivo.
L’Amministrazione Comunale di Castellaneta Marina ha di recente concesso la cittadinanza onoraria al cantante Vasco Rossi. Proprio Vasco Rossi è da anni ospite graditissimo e atteso proprio del Kalidria. La struttura mette ogni anno a sua disposizione la suite “Alba chiara” al cantante (dedicata proprio alla sua annuale presenza), ove, tra l’altro, organizza le proprie tournée. Il Direttore Moreno Donvito mette inoltre a disposizione uno staff benessere e sicurezza: grazie a queste attenzioni il Blasco si concede volentieri alle cure del corpo e all’affetto dei fan.
Nella suggestiva cornice di San Gimignano, nei pressi della porta San Matteo, si trova “La Vecchia Nicchia”. Etichette toscane e internazionali. Ma non solo. Ciò che accomuna tutta l’esperienza enologica e gastronomica è la scelta della qualità sulle eccellenze del territorio fatta da Alessandro ed Elisa. Il loro progetto di nicchia è però aperto alle piccole produzioni, aziende di qualità. Un unicum che rende, per l’appunto, unica la “permanenza” (più che) sfiziosa al piccolo locale.
Tipico immobile storico in tufi e pietre ove i pochi posti a sedere ci fanno immergere nell’immensa eccellenza del territorio toscano (e non solo).
Se può sembrare inaspettata, ad esempio, la burrata della Val di Cecina, ti fa restare senza parole, ancor di più il Blu di Firenze. Proprio con il Blu di Firenze, formaggio in fossa prodotta da Renato Brancaleoni, abbiamo concluso in bellezza la nostra visita. Abbiamo scelto proprio il formaggio della famiglia Brancaleoni la massima espressione della nostra esperienza da Alessandro ed Elisa. Alessandro ci ha proposto di accompagnarlo con un whiskey torbato, al posto di una più comune bollicina. Mai consiglio fu più suggestivo. Non possiamo non ricordare i racconti per ciascun piatto servito col menù degustazione pronunciati da Alessandro e da Elisa. Nelle loro parole più che una banale presentazione dei piatti serviti, quanto il vero e proprio “credo”: non più un semplice lavoro, ma una grande (e gustosa) passione.
Ben ci hanno consigliato sul vino. Dal caffè, il gruppo Illy (dal fratello più estroverso) ci fa giungere un “Sogni Follia” un Montalcino in purezza (quasi a ricordare, almeno nel colore, il brunello di Case Basse di Giacomo Soldera): rosso velato, molto profumato, note di frutta rossa, barrique intenso. Altrettanto bene Alessandro ci ha consigliato “il Bioselvatico”, un olio a bassissima tiratura (circa mille bottiglie all’anno).
Vogliamo poi solo citare e lasciare all’immaginazione le emozioni (non solo gustative) che abbiamo provato, degustando, ad esempio, il tonno di maiale del chianti su crema di fagioli, la squisita cinta senese accompagnata da cipolline sott’aceto, il pecorino toscano, tartarre ecc.
Fatevi pure ingannare dalla denominazione: è una nicchia ma per tutti.
Non pensate di trovarvi “semplicemente” un ristorante raffinato con un panorama “distensivo”, un casolare dai dettagli moderni, pietre, ulivi secolari, piante, fiori … Vi basterà dialogare per qualche istante con il dott. Gianfranco Testa, patron, per immergervi nelle emozioni, trasmesse dalle sue parole, con riferimenti alla natura, al territorio, al passato, ai progetti futuri. Si! Trattasi di vere emozioni che in realtà partono da quelle per il gusto: un percorso enogastronomico, di eccellenza, legato al territorio ossia all’Irpinia, alla cui guida il giovane, ma di lunga esperienza, Chef Antonio Guacci (accompagnato in cucina dagli Chef Christian Altruda e Antonio Guacci jr.).
Proprio lo staff della cucina de “Il Mulino della Signora”, ha rappresentato la cucina campana in “Casa Sanremo”, evento collaterale al 69° Festival della Canzone Italiana di Sanremo.
Piccole stradine, palazzi storici e l’odore di campagna
accompagnano i visitatori verso il Mulino della Signora (dal nome proprio della
zona dove è ubicata la proprietà Testa) di Sturno (AV), contrada Sterparo.
All’ingresso un imponente tronco di ulivo ti invita ad entrare in un luogo in
cui il tempo si ferma, anzi, tutto si ferma, per lasciar “camminare” solo odori
e sapori. Al termine della giornata davvero hai avuto la sensazione di esserti lasciato
andare in un “mood ispirativo” per le tue scelte future. Con questo non si
vuole ingannare il lettore e non si vuole esagerare. Trattasi solo di
trasmettere una esperienza dal carattere “semplice” ma allo stesso tempo dalle
sfumature molto “articolate”.
Certamente non ci si può non soffermare sul “percorso enogastronomico”. Scelta di prodotti del territorio e di ricette della tradizione, rivisitate ma non stravolte. Abbellite ma non oltremodo edulcorate da ingredienti poco rispettosi dei valori irpini e, più in generale, di questo nostro meridione, della nostra terra campana. Ecco che ritorna, proprio nel menu, il tema della “semplicità” seppur “articolata”. Ossimori di sapori che non deludono i palati abituati alla tradizione culinaria. Risalta, per gusto e per vista, il piatto che rappresenta di più le emozioni dell’intera giornata trascorsa presso “Il Mulino della Signora”: il “baccalà mantecato al latte, crema di zucca piccante, guanciale croccante e cips di patate”. Lo Chef Antonio Guacci evidentemente racchiude in questo piatto tutta la sua esperienza e il suo essere (solo anagraficamente) giovane. Ma in questo piatto c’è di più: il colore è indiscutibile. Il sapore lo è ancora di più. Un’esplosione di sensazioni, tutte piacevoli, e tutte diversificate. In questo piatto c’è la raffinatezza, ma anche un guizzo di briosità che si riscontra certamente nelle parole dello Chef, ma anche nelle storie e nelle battute del Patron Gianfranco Testa. La tradizione viene rispettata con il “mallone sciatizzo servito con pittone”, come pure è di ispirazione tradizionale il “risotto vialone nano, con porcini, tartufo e polvere di nocciole”. Ancora: la “pasta e patate con lardo irpino, noce moscata e polvere di capperi”. In questo piatto il tubero più famoso al mondo è servito anche sotto forma di sottilissimi bastoncini fritti, “fendendo”, in tal modo, la tipica “pasta e patate”. Ma richiede particolare attenzione lo “spaghettone cacio e pepe con stracotto alla genovese con cipolla ramata di montoro e pesto di carote”: anche qui i gusti e le consistenze oltre a rappresentare questo carattere “spinto” e “azzardevole” dello Chef, rimandano ad un’esperienza nuova, in un luogo della tradizione quale è “Il Mulino della Signora”. Se l’“agnello in crosta di mandorle, ciambotta irpina, spinaci al salto e blu di pecora” stupisce gli occhi ed il palato, il “maialino in crosta di pancetta, bietole da costa, patate al timo e pera” lascia senza parole… anzi: dolcezza, sapidità, croccantezza, cremosità ecc. ecc. ecc. Non si può terminare un percorso di gusto se non con i dessert. Merita particolare attenzione, tra gli altri, la “torta caprese in crosta di nocciole, salsa all’arancia e menta”.
Il menù è rigorosamente contraddistinto dall’utilizzo, nei piatti, dell’olio prodotto dal dott. Gianfranco Testa. Il “ravece” e il “papaloia”, vera essenza e ragione di essere de “Il Mulino della Signora”.
Uno “staff di sala” di tutto rispetto: elegante e oltremodo al servizio dell’avventore. A gestire amabilmente la sala il simpatico, ma attento e fine, Lucio Cammisa.
A chiudere la giornata, oltre alla visita a tutta la tenuta, tra alberi da frutto, il “grande vecchio” (plurisecolare ulivo), piscina, orto (a centimetro zero), è necessario seguire il dott. Testa nel suo mondo. Ti fa entrare nella sua “seconda sala operatoria”: qui racconta, attraverso i suoi prodotti, tutta la storia legata a “Il Mulino della Signora”; te la fa “degustare” e toccare con mano. Questa storia fatta, certamente, di semplicità, ma anche di eccellenza (il suo olio ne è testimone perfetto), di cura dei particolari, di esclusività e di testimonianze del passato. Una storia fatta di passione e di sacrifici dalla quale traspare forte l’attaccamento alle radici e al territorio. Un racconto, quindi, che racchiude tante emozioni che Gianfranco Testa trasmette a chi lo ascolta. E chi lo ascolta ne rimane certamente affascinato.
Se il piacevole aspetto di una donna bionda non ci ricorda la donna tipicamente napoletana, beh, la sua voce e i sapori da lei creati in cucina, ricordano la città nel migliore dei modi. Si, ‘A Malafemmena: è proprio lei. Se canta (e vi assicuriamo che canta!) vuol dire che sta per deliziarci con i suoi migliori manicaretti che ricordano nel migliore dei modi la tradizione culinaria napoletana.
Un locale di tutto rispetto, non troppo grande ma neanche piccolo, arredato ricordando un’osteria non troppo vecchia ma neanche dal design contemporaneo. A prima vista la “cantina” ti fa ben sperare sull’accompagnamento ai cibi presentati in un artigianale ma delizioso menu dalle portate essenziali e accattivanti. Spicca fra tutti l’antipasto della Malafemmena. Un “percorso” tutto da “salire”. Si, da salire perché la trippa, il fegato, la parmigiana (tra gli altri) potrebbero mettere a dura prova i temerari del buon cibo! In realtà trattasi di (abbondanti) assaggi che riescono a portati in un’atmosfera da pranzo domenicale: i sapori di un tempo, i sapori della nonna, con quel pizzico di “gourmet” che non guasta e che ti permette di andare avanti in una fredda e umida serata d’inverno in cui solo il buon mangiare ti può “riscaldare”. Assieme alla frittura all’italiana, alla frittata di spaghetti, alla frittata di zucchine, alle patate e baccalà, alla zuppa di porri e patate, alla minestra maritata, a rape e patate e a chi più ne ha più ne metta, la serata è “riscaldata” certamente.
Ma non possiamo farci mancare, da buoni ghiottoni, un assaggio di lardiata o di genovese, la quale ci viene presentata come piatto forte della bionda malafemmena. Beh, aveva proprio ragione la nostra addetta di sala. Una genovese dal gusto “tipicamente tradizionale” ma allo stesso tempo “senza pesantezza alcuna”. Ma ancor di più ci stupisce, perché nuovo al nostro palato, lo spaghetto con alici e noci che ci lascia a “stomaco pieno” e non ci lascia proseguire con una buona scelta di carni (ma non mancheremo di provare). Ci siamo lasciati un ultimo spazietto per i dolci che ci hanno anche loro colpiti ma non quanto tutto quello che è stata una cena dalle ipotesi di “scassamento totale” ad una realtà più che gustosa e piacevolmente saziante (ovvero anche il conto ci ha piacevolmente colpiti).
Il ricordo della malafemmena è in realtà un invito a riandarci non solo per assaporare la tipica cucina nostrana meridionale (nello specifico napoletana) ma anche per salutare il “chiacchierone” Enea, il pappagallo che canta, parla, ride e scherza con tutti i clienti e riascoltare la dolce e soave voce della bionda malafemmena, quale richiamo al gusto e alla tradizione.
‘A Malafemmena Piazza Umerto I – Monteforte Irpino (AV) tel. 393 054 2117
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