NEL MONDO DEI BAROLI: LA TRADIZIONE DEI PODERI MARCARINI

a cura di Miriam e Andrea ( @miry_andre )

Alla nostra gita nelle Langhe non poteva mancare la visita ad una storica cantina del Barolo: abbiamo scelto l’Azienda Agricola Poderi Marcarini.

Siamo nel centro storico di La Morra: percorriamo le viuzze, fino a giungere ad una porta in legno e vetro che ci fa accedere ad un piccolo show-room, inaugurato di recente e dedicato all’accoglienza e alle degustazioni.

Marcarini Wines

Elena ci viene subito incontro e con grande entusiasmo ci guida alla  scoperta delle cantine di questo edificio del XVIII secolo.

Entriamo nel primo ambiente e siamo circondati da grandi serbatoi di acciaio, in cui avvengono le prime fasi della produzione. Questa famiglia, che si occupa di vino da ben sei generazioni, adotta sistemi tradizionali sia nella vinificazione, che nella coltivazione, (la maggior parte della raccolta è fatta rigorosamente a mano!) ma non rinuncia all’innovazione tecnologica per i macchinari utilizzati. Coltivano Arneis, Dolcetto, Barbera, Nebbiolo e Moscato, ottenendo da essi una decina di vini tra cui tre Baroli (e uno chinato).

Ci addentriamo ora nella bottaia: ogni pezzo è rigorosamente in rovere di Slovonia e mentre Elena ci racconta con passione la filosofia aziendale e le tempistiche di “riposo” dei loro vini, siamo incantati dall’atmosfera suggestiva dell’ambiente. Fuori dalla finestra il nostro sguardo si perde nell’infinito paesaggio collinare, che illuminato dalla luce del caldo sole pomeridiano, evidenzia meravigliose geometrie con i suoi vigneti e noccioleti.

Qui ci viene mostrata anche la tipologia del terreno marnoso della zona: lo possiamo guardare attentamente e toccandolo ci viene da pensare che sia proprio uno degli elementi fondamentali per questi loro vini.

Tornati nello show-room scegliamo la degustazione dei tre Baroli: il Barolo del Comune di La Morra 2018, il Barolo La Serra 2018, il Barolo Brunate 2017 (accompagnati dalle deliziose nocciole, sia dolci che piccanti, sempre di loro produzione… una prelibatezza assoluta!).

Il Barolo del Comune di La Morra, dallo stile tradizionalista, è stato prodotto con le uve aziendali provenienti da tutti i vigneti di La Morra; il Barolo La Serra e il Barolo Brunate derivano invece da specifici cru da cui prendono il nome.

Nonostante la “tenera età” dei primi due Baroli, si riconosce subito il carattere distintivo del Nebbiolo; sono vini eleganti, hanno entrambi un bel color granata con riflessi rubini; il primo al naso ha prevalenza di sentori floreali, il secondo ha in aggiunta anche spezie e liquirizia.

I primi due ci colpiscono piacevolmente, ma è il Barolo Brunate ad entusiasmarci maggiormente e ad avvolgerci con la sua raffinata complessità e le sue inebrianti sfumature di vaniglia, tabacco e sottobosco.

Degustazione conclusa con il botto, insomma! Non ci resta che ringraziare e salutare chi ha reso preziosa questa esperienza, approfondendo la nostra conoscenza sul mondo del Barolo e facendocene apprezzare le diverse sfaccettature.

Teo Musso, irrequieto genio della birra artigianale italiana

A cura di Miriam e Andrea ( @miry_andre)

Con Teo Musso

Domenica 14 agosto arriviamo nella piazza principale del piccolo paese di Piozzo, dove molte altre persone, grandi e piccini, stanno attendendo di partecipare alla visita del Birrificio Baladin… ah no, non è vero, prima veniamo radunati nello storico pub, sotto un “tendone da circo”, dove Teo, man mano che entriamo, ci accoglie e si informa sui nostri luoghi di provenienza.

Baladin Open Garden

Ci spiega che questa esperienza sarà una specie di “messa” con tanto di omelia, processione ed eucarestia; aggiunge che la sua “omelia”, volutamente sfalsata di orario da quella del suo amico parroco, sarà lunga e precisa ironicamente che non si offenderà, se qualcuno se ne andrà prima della fine… il clima è interessante e ridanciano, perchè lui ha già catturato l’attenzione di tutti.

Teo Musso racconta la sua storia

Ci racconta dettagliatamente la sua storia: dall’incontro con il circo dell’amico François, ai tredici giorni trascorsi con loro nella lentezza, dai primi esperimenti di birrificazione,  al birrodotto che trasferiva il mosto dalla produzione nella piazza al mitico pollaio di famiglia. Una storia avvincente che ci tiene tutti incollati alle sue labbra, perchè è carismatico e ci porta quasi a “vedere” ogni tappa, ogni conquista ottenuta in questi anni.

É emozionante ascoltare dal vivo il “padre” della birra artigianale italiana che si svela man mano, tra passato, presente e futuro, perchè come dice lui, è un “irrequieto” e non può non avere già in testa molte altre nuove idee, come quelle già realizzate: primo tra tutti il mitico bicchiere teku, i cocktail in lattina, le bibite in bottiglia, i distillati, la birra metodo classico…

La prima parte, la sua “omelia”, trascorre velocemente, così, in “processione” ci trasferiamo al Baladin Open Garden, nel fondovalle di Piozzo.

Qui Teo ha creato, da una vecchissima cascina diroccata, uno dei birrifici più tecnologici al mondo, immerso in un bellissimo parco. Prima di visitarlo, ci fermiamo nella parte dedicata alla ristorazione e alle birre e ce ne concediamo una eccezionale, la SUD: una witbier elaborata ripensando ai sapori, colori e profumi del Meridione, dove infatti puoi sentire al naso, ma anche in bocca, cereali ed agrumi con una bella nota luppolata.

Le botti per l’invecchiamento delle birre speciali della linea Xyauyu

Mentre il primo gruppo si avvia con un “vicario” nel cuore della produzione, noi, guidati da Teo, visitiamo con l’altro gruppo, tutti gli spazi meravigliosi creati in questa cascina ristrutturata con cura.

Infine arriviamo anche noi alla visita del birrificio vero e proprio: la tecnologia è fantastica, gli spazi sono enormi e funzionalissimi: si parte dalla stanza in cui si raccolgono i cereali (piccolo particolare, producono tutto loro!!), a quella con i tini in acciaio per cottura e bollitura del mosto, ad un altro spazio in cui vengono sapientemente trattati i lieviti, fino all’immensa sala di fermentazione e alle botti che contengono altre pazzesche idee innovative di Teo: ad esempio la Xyauyù, che assaggiamo (particolarissima quella invecchiata in botti che avevano precedentemente ospitato il Laphroaig), concludendo così “la messa di Teo” con “l’eucarestia”.

Il percorso è terminato, ci soffermiamo ancora qualche minuto a chiacchierare con questo genio indiscusso della birra e non solo, questo irrequieto uomo che ha fatto della sua vita una serie di sfide che sembravano impossibili ed invece sono riuscite alla grande e siamo grati e felici di averlo conosciuto ed ascoltato.

Non ci resta che passare dallo shop, quindi pranzare, scegliendo tra le numerose proposte: optiamo per due super hamburger e due birre: una splendida, beverina, amaricata, rossa, L’IPPA (una IPA all’italiana!) e l’altra, la MAMA KRIEK, a base di ciliegie griotte tipiche della zona, dedicata alla mamma. Una fantastica  conclusione per questa mattinata fuori dagli schemi!

Consigliamo assolutamente di dedicare una giornata a questa esperienza davvero imperdibile e soprattutto di assaggiare ciascuno dei prodotti Baladin!

CASTELLO DI NEIVE: STORIA E MERAVIGLIOSI VINI

a cura di Miriam e Andrea ( @miry_andre)

Il Castello di Neive

l nostro tour nelle Langhe ha inizio dal caratteristico borgo di Neive, tra i più belli d’Italia: ci troviamo subito di fronte alla medievale Porta San Rocco, che immette nel gradevole centro storico ricco di casette colorate e di gente allegra che inizia la giornata con un bel caffè nei bar della piazza.

La piazza di Neive

Alla sinistra della porta, si trova La Casetta del Castello, luogo delizioso, da cui partirà la nostra visita e nel quale faremo successivamente la degustazione dei vini.

Partiamo con Laura alla scoperta del giardino: oltrepassato un incantevole pozzo, da un lato si erge maestoso il castello, o meglio, un immenso palazzo nobiliare (costruito, pensate, in soli 15 anni!) e dall’altro ci si perde ad ammirare il paesaggio sconfinato tra vigneti e paesini arroccati sulle colline della zona.

Il torchio storico

Entriamo nel cortile, dove sono esposte due carrozze dell’epoca, qualche botte, una stupefacente pesa per i carri che entravano carichi di uva appena raccolta ed un torchio storico che ci introduce alla cantina.

La carrozza del Dottor Stupino e la pesa antica per l’uva

All’interno, siamo circondati da barrique e tonneau in un ambiente suggestivo di arcate e mattoni a vista, ma l’emozione più grande è trovarsi dentro un vero Infernot, ossia un locale sotterraneo, costruito scavando a mano una particolare roccia e utilizzato come cantina o dispensa, privo di luce e munito di un sistema ingegnoso di aerazione naturale.

Infernot

Proseguendo nella nostra visita, l’emozione cresce sempre più, perchè Laura ci conduce nella vecchia ghiacciaia che ora ospita la collezione delle etichette più storiche della cantina: ci perdiamo ad ammirare centinaia di meravigliose bottiglie magicamente impolverate, divise per annate e preziose, come la più antica del 1937.

Le più antiche, l’ultima a destra del 1937

Conclude la visita “l’Infernot più moderno”, ossia quello costruito appositamente dalla famiglia Stupino per conservare le bottiglie delle loro produzioni: anche in questo luogo si respira un’atmosfera bellissima.

l’Infernot più moderno

E’ il momento della degustazione: Laura racconta dettagliatamente i vini che producono, quasi una ventina, tra metodo classico, Barbaresco, Barbera, Arneis … possiamo sceglierne quattro.

Decidiamo di partire con il metodo classico di Pinot Nero, blanc de noir, che ci inebria con una bollicina delicata e persistente, un profumo fruttato e di crosta di pane, un gusto equilibrato e minerale.

Metodo classico di Pinot Nero

Proseguiamo con due rossi meravigliosi: il primo è un Barbera d’Alba Superiore 2019, che letteralmente esplode prima al naso e successivamente in bocca, rilasciando piacevoli sensazioni fruttate, leggermente speziate, con punte di legno e vaniglia, lasciando in bocca calore e persistenza.

Barbera d’Alba Superiore 2019

Il secondo, Piemonte Albarossa 2018, ci ha colpiti per l’interessante storia legata al vitigno da cui lo si ottiene. Si pensava infatti, che derivasse da un incrocio tra Nebbiolo e Barbera, eseguito dal professor Dalmasso, ma successivamente le analisi del dna hanno verificato che il Nebbiolo in realtà era un vitigno francese, lo Chatus. Anche questo vino bello strutturato ed equilibrato ci è piaciuto moltissimo, in quanto regala sensazioni fruttate, ma anche balsamiche, con un finale persistente.

Piemonte Albarossa 2018

É la volta di due Barbareschi provenienti da due cru differenti, il Gallina e il Santo Stefano Albesani: entrambi esprimono al meglio le peculiarità di questa prestigiosa docg delle Langhe, con il loro caratteristico colore ed un ventaglio di profumi che vanno dal fruttato, alla vaniglia, al legno, alle spezie, molto complesso e ampio, confermato anche dal gusto.

Gallina e il Santo Stefano Albesani

Sono indubbiamente vini da tenere per qualche momento speciale, cercando di resistere alla tentazione di berli e conservarli invece il più possibile in cantina, perchè possano esprimere ancora meglio le proprie potenzialità.

Prima di andare, ringraziamo di cuore Laura per le dettagliate spiegazioni e per le emozioni provate nel percorso degustativo.

VIAGGIO NELLA SARDEGNA DEL VINO

a cura di Chiara Trò ( @calicivacabondi)

Il mio viaggio nella Sardegna del vino inizia ad Arzachena, località vicina a Porto Cervo e dalle spiagge più famose della Costa Smeralda.

Cantine Sarrau

Ci troviamo presso Surrau, importante realtà gallurese di circa 50 ettari.

Il Vermentino è il vitigno che domina tra le loro vigne ma, in minore quantità, vengono coltivati anche Cannonau e Muristellu, altro nome del Bovale, e Cabernet Sauvignon.

La struttura dell’edificio è moderna come il design interno, che è curato e studiato perfettamente.

La mia curiosità verso i vitigni autoctoni e poco noti mi ha portato a degustare il rosato “Gjola”, Caricagiola in purezza. Si tratta di un vitigno autoctono antichissimo presente per lo più in Gallura che, in veste rosata, presenta caratteri di freschezza e fragranza.

Vitigni

Con un bellissimo rosa salmone tenue ma brillante, si apre su note di fragolina di bosco e nuance agrumate di pompelmo e arancia rossa.

Non poteva mancare una degustazione del Vermentino, vitigno principe della Gallura e unica area dell’isola a vantare la DOCG.

Io ho optato per il Vermentino di Gallura superiore “Sciala”. Si presenta giallo paglierino e, quando avvicini il naso al calice, si sentono i meravigliosi profumi dell’isola: frutta, fiori, macchia mediterranea e una scia finale iodata, formano un connubio perfetto per rappresentare la Gallura.

Il tutto è stato abbinato a salumi e formaggi accompagnati da una meravigliosa gelatina ottenuta dal loro passito “Sole Ruju”.

Per la mia seconda tappa ho scelto Olbios, cantina tutta al femminile nata agli inizi degli anni 2000 e guidata da Daniela Pinna.

Cantina Olbios

Ci troviamo a Olbia, poco prima dell’aeroporto e lungo la strada che porta a Loiri, località dell’entroterra.

Anche qui, essendo in Gallura, le loro vigne sono per la maggior parte Vermentino.

Vitigno Vermentino

Dai vigneti il panorama è magnifico… sullo sfondo Tavolara, imponente e maestosa isola che domina tutto il territorio.

L’intervento in vigna, per scelta dell’Azienda, è minimo: oltre a non irrigare, le vigne non vengono cimate.

La sala degustazioni si trova in uno stazzu, tipica costruzione rurale locale.

La ristrutturazione è stata fatta in modo da lasciare un bellissimo contrasto tra antico e moderno.

Al piano sottostante si trova la cantina vera e propria, che merita una visita.

Qui ci sono le pupitres, per il loro particolare metodo classico “Bisso” e le barriques.

Pupitres

Ma la grande particolarità è la presenza di una parete di granito a vista che permette di vedere la composizione del terreno che si trova sotto alle vigne e che, ovviamente, si ritroverà anche nei sentori dei vini.

Ho scelto di degustare le loro varie espressioni di Vermentino.

Il primo assaggio è stato il “Bisso”, metodo classico Pas Dosè che sosta 50 mesi sui lieviti. Il nome deriva dal filamento presente nelle ormai rare nacchere, grandi conchiglie che un tempo erano presenti in grandi quantità nei fondali sardi.

Il colore è carico, quasi un giallo dorato. Al naso è intenso. Emergono sentori di crosta di pane, lieviti e pasticceria. Seguono poi tocchi fruttati e floreali con una chiusura leggermente ammandorlata.

Sicuramente è un metodo classico di carattere, che merita di essere abbinato a piatti altrettanto strutturati.

La seconda degustazione l’ho dedicata al “Lupus in Fabula”, Vermentino di Gallura Superiore. Si presenta giallo paglierino con riflessi dorati. Al naso si apre su frutta matura e note erbacee e minerali.

A seguire il “Lupus in Fabula Vendemmia Tardiva”. La vendemmia avviene ad ottobre e i sentori sono decisamente più evoluti. Il colore è giallo dorato. Il vino si apre su sentori più intensi e speziati.

Infine, è stato il turno di “In Vino Veritas”, un Vermentino del 2008. Si tratta di una vera particolarità in quanto il vino affina in parte in botti di legno scolme e quindi a contatto con i lieviti flor. Il colore è giallo ambrato e i sentori virano su note di frutta secca e disidratata abbracciati a note speziate.

La visita alle due aziende è stata un appassionante viaggio nel mondo del Vermentino in tutte le sue sfaccettature ed espressioni.

I Vermentini delle due aziende, per quanto appartenenti al territorio della Gallura e quindi alla stessa DOCG, hanno espresso ognuno il proprio carattere e particolarità.

Il mio vagabondare per cantine sarde per questa estate è finito ma continuando a degustare i loro vini, ritroverò ancora le emozioni di quest’isola che mi fa sempre sognare…

Petrò : Avellino ha il suo gioiello

Nel capoluogo irpino da tempo mancava un punto di riferimento per chi cerca semplicità e, allo stesso tempo, ricercatezza.

interno


Segnalato da un amico, siamo partiti alla scoperta di osteria Petro’ e del suo chef Marco Contrada.
Il locale che poco si nota dall’esterno, come tutti i tesori, dà il meglio di sé osservandolo da vicino.
Una porta in legno e vetro opaco con due oblò, mostrano una grotta a arco a botte, perfettamente ristrutturata, con luci calde che accolgono l’ospite tra poltrone bianche e muri in pietra viva ed un’ elegantissima e minima mise en place (ci teniamo a sottolineare la bellezza dei bicchieri: raramente ne abbiamo visti di così ricercati).

Mise en place


Siamo stati accolti in un’ampia sala con vista sulla cucina “ad orologeria” di chef Contrada che, con sguardo fermo e a tratti austero, coordina l’intera brigata.
Il maitre sommelier Elia, con l’assistenza di Marcella, ci hanno coccolato per l’intera serata con assoluta professionalità e discrezione.


La nostra cena è stata un percorso raffinato nella mente e nel cuore dello chef. I piatti proposti raccontano di ricerca, conoscenza, quasi maniacale, dell’abbinamento dei gusti. Gli stessi raffinati ma decisi, pieni e vuoti elegantemente assemblati per dare al palato la sensazione di completezza.

Finger

Iniziando dai finger di antipasto, piccoli “bombe” di gusto. Tra i molteplici piatti, menzioniamo in particolare la caprese di pomodoro; Gambero marinato; Tagliatelle alle erbe con sgombro marinato.

Gambero marinato


La cena si è conclusa con una vera magia: un cuore di gelato al sedano su mango e zucchero filato. Lo stesso è servito e completato al tavolo dove viene versato del succo di mango sullo zucchero filato che, sciogliendosi, mostra il suo cuore verde gelato: fantastico!!!

Caprese di pomodoro

Elia ha scelto per noi due vini, in particolare ci ha colpito il vermentino con spiccata acidità che perfettamente si abbinava ai piatti proposti. Un vino di grande equilibrio, certamente pronto.

tagliatelle alle erbe


Un plauso va alla proprietà la quale, affidando la cucina allo chef Contrada, con esperienze importanti, e condividendone le scelte, ha scommesso su una brigata giovanissima.

Chef Marco – Maitre Elia

Infatti la brigata è composta da cuochi (alcuni dei quali appena diplomatisi alla scuola alberghiera) che lavorano armoniosamente, apparendo già navigati da tante miglia.

Gelato al sedano


Se cercate eleganza, ricercatezza e grande gusto senza dubbio passate da “Petro’ osteria Gourmet” per un’ esperienza “wow”.

La brigata di Petrò

Napulè, giovani e belli!

In una calda serata estiva , volevamo mangiare una buona pizza e avendo avuto diverse segnalazioni da nostri lettori abbiamo deciso di provare Napulè a Benevento .
Un bel cancello bianco , illuminato con eleganza, si apre su una terrazza all’aperto.
Ci accoglie Valentina, che con uno staff molto giovane gestisce il servizio regalando sorrisi agli ospiti.


Il locale nasce nel 2015 dall’idea di Ugo e Veronica che hanno deciso di portare in città la vera e tradizionale pizza napoletana con una prerogativa ” COMPRA SUD ” seguendo la filiera di prodotti solo del Sud Italia. Questa scelta premia la qualità dei prodotti utilizzati che mostrano il meglio sulle pizze che arrivano al tavolo.
Lo staff altamente qualificato di Napulé è formato personalmente dai titolari prima di intraprendere qualsiasi esperienza all’interno del mondo “Napulè”
La pizza che si degusta da Napulè è un “tuttotondo” di gusti, tutto il menu viene ideato e condiviso con tutta la squadra facendo a nostro avviso due grandi cose, creare compattezza e gusti netti senza fronzoli.


Segnaliamo in particolare la Stregata: Crema di parmigiano reggiano aromatizzato alla curcuma, pancetta croccante, cialdine di caciocavallo, basilico cristallizzato e spaghetti fritti. Questa la pizza che si deve assolutamente provare!


Gli impasti, anche senza glutine, sono nelle mani di Andrea giovanissimo pizzaiolo di soli 22 anni. Andrea è energico e sa il fatto suo, a fine serata quando lo incontriamo assieme a Vincenzo, ventiseienne mastro fornaio, anche senza saperlo si nota la loro freschezza, gli occhi pieni di sogni e volontà di non fermarsi, di costruire e guardare al futuro con entusiasmo. Sono due ragazzacci di grandi prospettive.


I due hanno un nuovo progetto in mente, noi non lo spoileriamo ma credeteci ci divertiremo, ve lo racconteremo appena “assaggiato”.
In città Napulè resta ad oggi l’unica pizzeria con due forni napoletani per esaudire tutte le richieste tra sala ,asporto e delivery
Che dire di più , non avete scuse dovete solo scegliere come provare .

Fiore De Vito: il dolce guerriero della soppressata.

tagliere misto

Non si può parlare di Irpinia se non viene nominata la soppressata. Dovrebbe diventare un prodotto riconosciuto ed invece Fiore De Vito è rimasto l’unico a combattere per questo riconoscimento.


L’Irpinia ha bisogno di affrancarsi e di riconoscersi (e farsi riconoscere) in una identità che sia rappresentativa di una cultura (e di un turismo) ben precisa.
Il riferimento non può non essere che, tra gli altri prodotti enogastronomici, alla soppressata.
Fiore ne ha fatto una missione, una professione, un ideale. E di questi ne ha fatto una evoluzione.
Dalla storica attività “Fior Di Bontà” ha realizzato un altro suo sogno: Bradevi.

La sala


Bradevi è macelleria, gastronomia e ristorante-braceria che non ha nulla da invidiare a locali della zona e di simile livello.

La vetrina


Anzi, l’impronta di Paolo Barrale si fa sentire con la presenza dello chef Antonio Sicignano. Chef Antonio unisce le eccellenze del territorio campano e la carne di Fiore alle tecniche culinarie moderne: mix perfetto per la creatività, rispettosa della tradizione, di chef Sicignano.
Una sala moderna, arricchita da esclusivi arredamenti, gestita alla perfezione (per essere una brigata messa insieme da poco) da Alberico.

tartare


Non possiamo non menzionare il “folle” ed eclettico (prestato, ma esperto ed altrettanto appassionato) sommelier Angelo Di Rubbo il quale, nonostante gli interessi principali sono rivolti al design e all’arredamento di interni (l’arredamento di Bradevi è curato e consigliato proprio da lui), grazie anche alla sua sensibilità artistica alimenta, anzi sazia i nostri desideri in tema di accompagnamento dei piatti con la selezione di vini.

Nero a Metà – Aglianico vinificanto in bianco


La sala è una vetrina sul reparto macelleria e viceversa. Un collegamento diretto tra le proposte dello chef e la ricercatezza della genuinità e della tradizione di Fiore De Vito. Con immensa umiltà, Fiore gira tra i tavoli e aiuta lo staff in tutte le mansioni. Può permetterselo perché è un cultore a trecentosessanta gradi dell’enogastronomia. La sua esperienza gli permette di parlare (a differenza di tanti titolari prestati alla ristorazione). Le sue conoscenze spaziano dalla enologia alla gastronomia, dall’olio alla carne.

Tagliatelle


Quello che però ti resta impresso nella mente (e nel cuore) è l’immagine dei suoi occhi commossi nel raccontarsi, raccontare le sue battaglie, le sue esperienze.

Traspare (senza farsene vanto) la vita di sacrifici e di lavoro. Le sue storie ci hanno subito rimandato all’immagine di quelle mani logore, di visi rugosi della vita di campagna di un tempo, ma (speriamo possiate immaginare assieme a noi) degli occhi sempre giovani che ti catturano e ti emozionano. Fiore rappresenta, quindi, l’Irpinia dei sacrifici.

Fiore, con la sua ultima creatura BRADEVI, ci riporta a quella vera ruralità (o turismo rurale) di cui la nostra Irpinia ha bisogno. Fiore De Vito rappresenta lavoro duro ma che regala tante soddisfazioni. Come appare soddisfatta, attenta ai dettagli, scrutando qua e la, mentre prosegue il proprio lavoro, la moglie Antonella Tirone.


La nostra esperienza con BRADEVI si è conclusa con una fantastica condivisione di un brindisi con tutte le “maestranze” che vi lavorano. Dimostrazione che solo facendo squadra, condividendo sorrisi e fatiche, si può riuscire ad esprimere la vera essenza di un luogo come quello creato da Fiore De Vito con BRADEVI.

Zi Nannina qualità e ricercatezza vista mare

A cura di @francesco_di_Gaetano

Zi Nannina a mare è un intimo localino con suggestiva vista sulla Spiaggia dei Pescatori che è situata a ridosso di Ischia Porto, questo tratto di costa un tempo era ad uso esclusivo dei soli pescatori (da cui il nome).

Entrata

Si tratta di una pittoresca spiaggia di soffice sabbia dorata, immersa in un contesto paesaggistico unico e suggestivo, con il meraviglioso castello Aragonese che le fa da sfondo, spiaggia resa anche celebre perché set del film “Il talento di Mr. Ripley” con la regia di Antony Minghella.

Terrazza

Il ristorante si sviluppa in un giardinetto romantico con luci soffuse, perfetto per passare una serata tranquilla in coppia o con amici. I tavoli sono posizionati in modo da avere tutti una veduta del castello Aragonese e dell’isola di Procida, che grazie alle luci serali rende il posto ancora più incantevole.

Dopo esserci accomodati c’è stato portato il pane dello chef ( bianco e con mix di semi tra cui girasole e di zucca) , grissini e “lingue di suocera”(delle sfoglie lunghe, sottili e croccanti al peperoncino),il tutto accompagnato da una mousse di burro leggermente salato.

La cucina dello chef Enzo David è innovativa con accostamenti che all’apparenza sembrerebbero azzardati, ma che poi sorprendono, sposandosi perfettamente in un equilibrio assoluto di sapori. Come ad esempio il piatto : “polpo arrostito,maionese della sua acqua, carote e caviale di aceto balsamico” dove il gusto deciso dell’aceto balsamico non va a coprire il gusto delicato del polpo, ma anzi ne esalta il sapore.


Il piatto che ci ha rapito il cuore è stato “il risotto con burro agli agrumi, calamaretti spillo in doppia consistenza e emulsione ai ricci di mare”, anche qui l’acidità degli agrumi andava a ripulire la grassezza del burro e l’ untuositá dei calamaretti spillo fritti, in più la spuma ai ricci di mare conferiva succulenza al piatto.

il risotto con burro agli agrumi


Il tutto si accosta benissimo con un “Pithecusa” di Tommasone , azienda vinicola ischitana che produce questo vino da uve Biancolella e Fiano, dalle caratteristiche fruttate tropicali ( mango, passion fruit e papaia) ed uno spiccato sentore di albicocca; sorso inteso e fresco con una buona sapidità ed un finale lungo, in retrolfattiva ritroviamo l’albicocca e il gusto tropicale fruttato.

“Pithecusa” di Tommasone

Inoltre dai piatti dello chef, emerge una propensione alla cucina fusion dove i sapori orientali si fondono a quelli partenopei, ne è un tipico esempio l’antipasto “gamberi in tempura, polvere di alga wakame e finta salsa di soia ” dove la salsa di soia è in realtà rappresentata da una riduzione di acqua di polpo, che richiama il rinomato brodo di pesce napoletano.

Gamberi in tempura

A fine cena, ci siamo complimentati con lo chef per la completezza dei suoi piatti dove non mancava mai una nota croccante. È stato piacevole ascoltare con quanta passione e amore lo chef Enzo parli della sua professione e delle sue creazioni culinarie e quanto tenga a comunicare l’essenza della sua cucina.

Data l’enorme potenzialità del ristorante e della cucina dello chef, è doveroso fare dei piccoli appunti sul servizio di sala, che deve essere in grado di presentare in modo adeguato ogni portata, inoltre molti vini non erano disponibili in carta, mentre altri erano presenti in cantina ma non menzionati.

polpo arrostito

In conclusione consigliamo di visitare il ristorante “Zi Nannina a mare”, dove potrete godere dell’ottima cucina dello chef Enzo David e della bellissima cornice ischitana.

chef Enzo David