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Chi siamo

Benvenuti nel nostro blog enogastronomico.

Siamo Fabio e Renato, due veri “ghiottoni”, che si divertono a provare tutti i migliori locali e i loro piatti più particolari, le materie prime più selezionate, nonché degustare i vini, le acque, gli oli e le birre proposte nelle varie “carte”.

Fabio, sommelier Vino; Acque; Olio e Birra appassionato della buona cucina, condivide con Renato, appassionato del buon cibo, la passione di riproporre i piatti nelle varie occasioni che organizzano presso le loro private abitazioni.

Ma soprattutto, dedichiamo gran parte del nostro tempo libero a selezionare i locali in qualsiasi località decidiamo di “approdare”.

Ci dedichiamo con attenzione alla scelta dei migliori piatti e vini dai menu proposti dalle varie strutture “visitate”, cercando di assaporare quanti più gusti possibili, non tralasciando alcun particolare (servizio, location, qualità materie prime, design).

I nostri “viaggi gustativi”, riguardano tutti i sensi: dalla “composizione” del piatto ai profumi, dal “suono” del vino versato nel bicchiere alle suggestioni più complesse.

Dedicandoci al teatro da più tempo, crediamo fortemente che ogni cena, pranzo e qualsiasi incontro conviviale con protagonisti il cibo e il vino, siano dei sorprendenti spettacoli, dove ogni personaggio, chef, personale di sala, sommelier, costituiscano un momento da cui provengano emozioni che lasciano “fragranze” indelebili.

L’Irpinia in un nome: JOAQUIN

di Francesco Di Gaetano

Vogliamo raccontarvi di un luogo, di un luogo che racchiude la cultura di una delle aree enologiche più affascinanti del mondo, l’Irpinia.
Il luogo è in questo caso un’azienda, JOAQUIN, che si trova a Lapio, nel cuore
pulsante delle DOCG del Fiano di Avellino e del Taurasi.
La giornata è perfetta, siamo ai primi di Novembre, ma l’aria fresca e il caldo dei
raggi del sole ricordano un primo pomeriggio primaverile che porta con se ancora i rimasugli dell’inverno. Prima di recarci in azienda decidiamo di andare a far visita alle viti di Aglianico di Paternopoli, viti prefillossera ultracentenarie che rappresentano i cru del Taurasi e dalle quali Joaquin produce il vino Taurasi Riserva della societa.

Il paesaggio è fiabesco, le colline circostanti sono tappezzate di vigneti, le varie tonalità di verde che sfumano verso l’orizzonte ricordano un paesaggio Tolkieniano. Finalmente arriviamo nella sede di Lapio, dove ad attenderci c’è il titolare Raffaele Pagano, ci presentiamo, e Raffele ci invita calorosamente ad accomodarci per poter iniziare il nostro viaggio verso il gusto.
La conversazione che ci accompagna alla degustazione è stimolante e ricca di
nozioni sul territorio, sulle usanze del luogo e soprattutto sull’importanza della zona vinicola di Lapio, che Raffaele, data la struttura dei piccoli vigneti dislogati per i diversi comuni della DOCG, paragona ad una piccola Borgogna.
“Per comprendere le dinamiche enologiche di queste terre è necessario conoscere la struttura sociale e i loro attori” dice Raffaele.

Difatti le grandi capacità che i vini della zona possiedono sono senz’altro legate al terreno di origine vulcanica ed al clima favorevole, ma sono anche frutto dell’eredità culturale che i padri contadini sono riusciti a trasmettere nei secoli ai figli divenuti produttori di grandi vini. Per la degustazione Raffele ci propone il Vino della stella 2019 Fiano di Avellino e il fratello minore 2020 prelevato direttamente da vasca, provenienti entrambi dai medesimi filari dei cru di Lapio.

Vino della stella 2019 Fiano di Avellino.
Vol 14% Colore giallo paglierino carico con riflessi dorati.
Al naso biancospino, burro, agrumi note balsamiche di erbe spontanee.
Dotato di una verticalità accentuata ben bilanciata dalla morbidezza dei polialcoli. Il sorso è bilanciato e rotondo con una buona sapidità e di lunga persistenza.

Vino della stella 2020 Fiano di Avellino Vol 13.8%
Colore giallo paglierino brillante
Al naso stupisce, si percepiscono note idrocarburiche, di basalto e di legno di cedro. Al gusto è fresco e ritroviamo la parte aromatica e minerale, l’assaggio è intenso con un finale lungo e persistente.
Due fratelli dalle caratteristiche molto differenti, Raffele ci spiega che la politica
aziendale di Joaquin tende a ridurre al minimo l’interventistica sui vigneti in modo da poter riscontrare le differenze delle diverse annate anche nel calice.
L’azienda per ridurre al minimo i trattamenti fitosanitari utilizza un sistema di
Tele rivelamento per ognuna delle vigne che possiede, in modo da controllarne lo stato di salute, come l’umidità che viene calcolata tenendo conto sia delle ore di esposizione ai raggi del sole, sia della percentuale delle piagge e dell’intesità delle stesse. Finita la degustazione Raffaele ci invita a seguirlo in cantina, per proseguire il nostro tour del gusto al bordo del suo Pick up aziendale poichè la cantina si trova a Montefalcione, distante pochi chilometri.

Giunti in cantina veniamo accolti con un sorriso da Francesca Auricchio che ci indica il cammino verso la bottaia poco distante dall’ingresso. L’entrata in bottaia è sempre emozionante, i profumi dei legni inebriano l’aria circostante rendendo l’atmosfera più calda e suggestiva. Francesca inizia con le nozioni teoriche sui procedimenti produttivi aziendali e ci spiega che la macerazione dei vini rossi avviene in botti vecchie di castagno ed avviene a contatto con l’ossigeno, per restare in linea con lo stile ossidativo, uno stile unico che è il marchio di fabbrica dell’azienda Joaquin. Inoltre il castagno viene preferito al rovere anche per l’evoluzione di alcune etichette di bianco che maturano dagli 8 ai 12 mesi, proviene da Agerola, comune del napoletano, rinomato per la qualità dei suoi legni. Appena finito il tour in cantina Francesca ci porta verso il grande tavolo posto al centro della sala, dove abbiamo la possibilità di degustare il Taurasi riserva della società 2015.

Si presenta di un colore rosso granato che lascia filtrare la luce. Al naso ha una complessità impressionante, la freschezza si percepisce già all’olfatto con un
chiaro odore di bergamotto, troviamo anche prugne secche e confettura di fichi. I terziari si manifestano con note di cuoio. Al palato è molto intenso, ingresso
fresco bilanciato dalla morbidezza dei tannini. Il finale è setoso, con la giusta dose di acidità che non rende la beva monotona e che fa venir voglia subito di un altro sorso. Durante la degustazione al tavolo abbiamo parlato anche della nostra passione come cacciatori di cibo, e ci siamo trovati a parlare con Raffaele e Francesca delle nostre esperienze ai medesimi ristoranti dove la buona cucina ed il buon vino non mancano mai.

SAPORITALY: dove l’Irpinia è di casa.

Antonio Magliacane e Geda Dell’Anno sono i patron di Saporitaly. Un progetto nato circa sei anni fa, dopo l’esperienza europea di chef Magliacane.

Il locale esprime tutta la sua modernità ma allo stesso tempo ti fa sentire avvolto nel calore della tradizione irpina: le carni a vista e le bottiglie di vino che, come opere d’arte, stagliano sui muri dai colori neutri.

Pecora alla scapece

Da Saporitaly c’è tanta irpinia: il capretto, la sopressata, il caciocavallo, il cinghiale, l’agnello, le zuppe e le minestre.

fagioli con tartufo

Magliacane attraverso queste eccellenze territoriali riporta a sapori di un tempo e, grazie alle sue esperienze extra italiane, ne dà un tono di freschezza e di qualità. L’azienda agricola di famiglia, capeggiata dal “boss” Vincenzo il quale con lodevole passione dona ai palati, anche quelli più esigenti, il gusto dei propri salumi rigorosamente a chilometro zero. La maestria nella cura delle carni è certamente il “marchio di fabbrica” della famiglia Magliacane che Antonio ha saputo magistralmente trasferire nei suoi piatti. Probabilmente anche il richiamo nella denominazione all’Italia è la rappresentazione di quello che sarà poi il pranzo: l’eccellenza italiana del cibo. Allora, Magliacane può rientrare a pieno tra gli ambasciatori di questa tradizione, dell’eccellenza irpina. E non ci riferiamo solo alle tipologie di ingredienti utilizzati, ma anche al modo di lavorarli e, quindi, cucinarli.

tagliolino al tartufo

Non per utilizzare lo stile da recensione, ma ci preme segnalare alcuni dei piatti proposti: la “pecora alla scapece” e il “cinghiale con le papaine”, senza dimenticare la pasta fresca artigianale espresse nel piatto “tagliolini al tartufo bianco”.

La carta dei vini non è amplissima, ma grazie a Geda abbiamo potuto constatare l’accuratezza nella scelta dei pochi vini in cantina i quali rappresentano comunque delle eccellenze (anche di nicchia) dei territori.

con Chef Antonio Magliacane e Geda Dell’Anno

Conoscendo la fama anche sui prodotti ittici, saremo costretti (una costrizione di piacere la nostra) a tornare.

ingresso Ristorante

GUARDANAPOLI: storia di una famiglia.

Guardanapoli entra a pieno nel nostro lunghissimo elenco di “luoghi” cui fa visita. Oramai avete imparato a conoscerci, siamo lontani dalle solite “recensioni” (almeno questo è il nostro intento). Ci piace, piuttosto, sottolineare e raccontare ciò che più ci ha colpito delle storie che vi sono dietro i locali.

Abbiamo avuto modo di conoscere la famiglia Pascarella per il tramite del suo esponente più giovane. Carmine ci ha da subito colpiti sin da quando lo incontrammo la primissima volta a Durazzano durante l’evento “Gustarte” (http://www.idueghiottoni.com/2022/09/08/durazzano-gustarte-eventi-che-fanno-bene-ai-territori/). Lo abbiamo definito “internazionale”: ve ne dovevamo dare conto e lo facciamo raccontando la sua “Guardanapoli”.

Ristorante della tradizione legata alle cerimonie che però punta molto alla sperimentazione (quest’anno festeggia i 50 anni di attività).

La location si affaccia (anche se un po’ in lontananza) sul golfo di Napoli: suggestiva la vista nelle giornate serene. Dal terrazzo superiore (oggetto di una prossima riqualificazione di cui non possiamo svelarvi nulla) si gode della vista sul parco interno, in cui molte cerimonie vengono allestite nel segno della natura e della tranquillità.

La spicciolata e la pizza richiamano indiscutibilmente (e volontariamente) i sapori della tradizione culinaria napoletana. Il gourmet lascia spazio, da Guardanapoli, all’attenzione al gusto e alla qualità dei prodotti. L’insalata di polipo merita una menzione speciale, al pari della frittura e del fusillo avellinese con seppie, zucchine e gamberetti.

Carmine è un imprenditore moderno, grazie anche alla disponibilità dei genitori che gli hanno lasciato autonomia decisionale. Il suo sprint giovanile, la sua volontà di ampliare le proprie opportunità di crescita lo rendono davvero “internazionale”. Il suo impegno maggiore, assieme a quello di tutti i suoi familiari, è dedicato al marchio “Le Prelibatezze di Nonna Rosa”. La storia che rappresenta Donna Rosa è una storia di valori, di sacrifici, di legami: è la storia di una famiglia che, attorno alle colonne portanti (i più anziani), ispira il proprio futuro e la propria crescita.

A Carmine va tutto il nostro plauso per l’impegno nel suo lavoro e anche nello studio: approfondisce quotidianamente il proprio agire professionale affinché l’improvvisazione possa lasciare spazio a competenze che per il mondo del food business sono sempre più importanti.

Come pure ammiriamo i sacrifici di tutti i componenti della famiglia che, con esemplare sensibilità, ogni giorno lavora e investe per i propri dipendenti i quali diventano anch’essi protagonisti del mondo “Guardanapoli”.

Calafià : l’Irpinia che ci crede

di Renato Maffei

A pochi chilometri da Avellino, nella terra del Fiano, nasce Calafià, antica espressione contadina legata alla lavorazione post vendemmia.

Arrivati a Lapio, al centro della via principale, due fratelli, Pietro ed Emanuela, hanno realizzato il loro sogno di aprire un winebar gourmet che tenesse unite le due grandi passioni della famiglia: il vino e la cucina.

La struttura scelta si apre come uno scrigno. Si entra in un ambiente moderno con colori vivi e foto a grandezza d’uomo, certamente un invito a farsi fotografare o fare da sfondo ai propri selfie.

Fatti pochi passi si entra nella storia: un’antica cantina, con un arredamento moderno, tutta in pietra e archi a botte, la quale, sontuosa, “osserva” le storie che giorno dopo giorno si vivono e si sono vissute ai suoi piedi. Proprio l’ambientazione è un invito a “restare”, a soffermarsi, a staccare dalla routine. Ma, soprattutto, a sorseggiare il piacevolissimo fiano della cantina Filadoro, azienda di famiglia.

Ci accoglie il giovane Pietro, patron e tutto fare. Il suo lavorare nelle vigne di famiglia ed il compiacersene sono la vera speranza per chi crede ancora che dalla “terra” possa esserci un futuro per il territorio irpino caratterizzato dalle specialità enogastronomiche di eccellenza. Ad accompagnarlo nella gestione della sala, l’altrettanto giovane Emanuela, all’apparenza più austera e concentrata, attenta a far sentire a proprio agio gli avventori.

Il tema dei giovani che investono in se stessi e nei propri talenti viene confermato dalla scelta di affidare la cucina all’anch’egli giovanissimo Vincenzo Cascone. La sua “giovinezza” è espressa a pieno nei piatti: colori, stile, irruenza (nel senso più positivo che si possa dare), i quali lo “iniziano” alla lunga esperienza culinaria che dovrà affrontare (ma la sua volontà e la sua visione ci fanno ben sperare).

Birrando… a Natale

di Tiziana Ciardiello

Siamo ad Avellino e precisamente al dipartimento di Agraria dell’Università degli Studi di Napoli Federico II insieme a Marco Maietta dell’Associazione “Birrando… Si Impara”. L’evento è dedicato “Alla scoperta delle birre di Natale”, dette anche “Kerstbier” ovvero quelle birre dalle caratteristiche belghe che non appartengono ad uno stile birrario ben preciso.

Ma, allora, quali sono le birre di Natale?

Sicuramente si fa riferimento a quelle caratterizzate da aromi “caldi” che rappresentano, per l’appunto, il Natale: la cannella, la buccia d’arancia, il coriandolo, i chiodi di garofano, l’anice stellato, il ginepro.

Diverse nazioni esprimono la propria birra di Natale. L’Italia lo fa in modo clamoroso, probabilmente per il rapporto di filiazione che è esistito tra il movimento italiano e quello belga. Parliamo di Strong Ale molto aromatizzate.

“Birrando… Si Impara” ci omaggia di due degustazioni a sorpresa.

La prima birra spillata si presenta con una schiuma color crema, dalla grana sottile e dal colore mogano con riflessi rame. Al naso emana sentori dolci: miele e caramello che si confermano al gusto, con l’aggiunta di agrumi canditi. La bevuta è equilibrata e corposa. A fine degustazione scopriamo che si tratta della “Leffe noel”, birra consigliata in abbinamento al classico panettone di Natale.

La seconda birra in degustazione ha una spillatura a caduta, stile tedesco. È una classica “da meditazione”, dal colore ebano e senza molta schiuma, proprio per l’assenza di gas. Un’esplosione di profumi la caratterizza: caffè tostato, liquirizia, cannella, chiodi di garofano, anice stellato, coriandolo, buccia d’arancia, noce moscata. Tutti aromi che ritroviamo anche al gusto. Il sorso è persistente ed equilibrato. “A babbo morto”, questo il nome della birra dai cinque malti, è stata prodotta per uso proprio (ahinoi!) dagli amici di “Birrando… Si Impara”. Essa si abbina perfettamente ai classici dolci natalizi delle nostre zone. Consigliatissima da accompagnamento al “mustacciuolo”.

L’evento dell’Associazione “Birrando… Si Impara” in collaborazione con il Dipartimento di Agraria di Avellino sembra essere solo il primo di tanti altri al quale con piacere parteciperemo e magari potremo riassaggiare insieme “A babbo morto” e confrontarne le caratteristiche organolettiche a distanza di un anno.

IL SEGRETO DI PULCINELLA dove la tradizione ha fatto posto alla ricerca.

Di Renato Maffei

Nella cornice di uno dei borghi più belli d’Italia, Montesarchio, Giuseppe Bove si propone con un classico della tradizione gastronomica italiana: la pizza. Lo fa da “figlio d’arte” (è alla terza generazione di cuochi), e da ex cuoco.

La sua formazione da piazzaiolo si sviluppa essenzialmente con la ricerca e la sperimentazione. Quando, infatti, gli abbiamo chiesto “come nascono le tue pizze”, Giuseppe ci ha risposto, con la schiettezza che lo contraddistingue, “chell’ ca me passa p’ ‘a capa, chell’ faccio” (quello che mi sovviene alla mente è ciò che realizzo).

Bove non si adegua alla moda, anzi la sfida. Sin dal 2012, anno della sua prima pizza, segue la stagionalità, ma lo fa con intelligenza e scegliendo accuratamente i propri fornitori, privilegiando il biologico, il km0 e il sostegno alla “artigianalità” locale. Citiamo, ad esempio, la riuscita scelta (almeno per quanto ci riguarda) di variare mensilmente la carta delle birre artigianali.

La sala, rinnovata e ampliata da pochi anni, si rifà ad un arredamento moderno senza troppe pretese. Il locale dove il maestro Bove sperimenta è racchiuso all’interno di una “vetrina” dando l’idea che la sua “creazione gastronomica” faccia parte di un film a cui i commensali possono assistere. Il risultato delle creazioni è unico: esteticamente sono complesse ma eleganti.

Il gusto … lo lasciamo a quelle che saranno le vostre sensazioni ed emozioni. A noi, ci hanno emozionato. Gli abbinamenti ed i contrasti dei vari gusti sono la rappresentazione della scomposizione di piatti (ed in questo rivediamo il Bove cuoco) riproposti come topping sulle pizze.

Non possiamo non citare il riconoscimento ottenuto dal Segreto di Pulcinella pizza che è entrata a far parte delle migliori cento pizzerie d’Italia de “L’Espresso”.

con Giuseppe Bove

LA COSTA, dove vino e solidarietà si incontrano

a cura di Chiara Trò

Durante il mio viaggio nel vicentino, ho deciso di soggiornare presso “La Costa” Fattoria sociale a Sarcedo, non lontano da Breganze e situato alle pendici dell’altopiano di Asiago.  

Questo territorio è vocato per la produzione di vini a base di Vespaiola, vitigno autoctono a bacca bianca. Il curioso nome deriva dal fatto che le vespe, in periodo di vendemmia, sono attratte dagli acini particolarmente zuccherini.

La Costa, oltre a produrre vini, è anche agriturismo e fattoria sociale e dispone di alcune camere dove poter soggiornare.

Fattoria sociale significa l’unione della produzione di vini e prodotti di qualità con l’inserimento di persone diversamente abili o provenienti da situazioni svantaggiate. Infatti, come loro scrivono sul loro sito web, “l’agricoltura è sempre stata un’attività accogliente nella quale ognuno può trovare un ruolo e finalmente essere riconosciuto per ciò che fa e non per ciò che è o è stato” permettendo quindi a queste persone un riscatto sociale, personale e lavorativo.

Esempio di questa bellissima collaborazione sono le etichette dei loro vini che vengono dipinte una ad una a mano… ogni bottiglia quindi sarà diversa dall’altra.   

Verso sera, dopo una piacevolissima passeggiata nei vigneti, ho potuto degustare i loro vini in abbinamento a formaggi e salumi veneti. Il ricco tagliere prevedeva: sopressa veneta, speck, pancetta affumicata e porchetta. La selezione di formaggi era composta da formaggio ubriaco, un tipico formaggio veneto affinato nelle vinacce, Asiago dolce e “Vento d’estate” un particolare formaggio a pasta dura del trevigiano affinato in mezzo al fieno all’interno di barrique di rovere per alcuni mesi. Il tutto è stato accompagnato con una mostarda con pezzi di mela e una salsa zingara ai peperoni.

Il primo assaggio è stato un fresco e ottimo Vespaiolo metodo charmat lungo.  Di colore giallo paglierino, si apre su note fresche di mela e sambuco. Il sorso è pulito, piacevole e fresco caratterizzato da una nota sapida derivante dai suoli vulcanici dei vigneti.

La degustazione successiva l’ho dedicata alla loro novità: “Petinat” spumante rosè a base di Groppello e Marzemino. Si presenta con un bellissimo rosa cipria ed un forte profumo di fragolina.

Dopo l’assaggio degli spumanti sono passata alla degustazione delle due versioni ferme di Vespaiola.

Il primo è ottenuto dal vitigno principe della zona: Vespaiola in purezza con un affinamento solo in acciaio. Di colore giallo paglierino, al naso esprime profumi fruttati e floreali di sambuco per chiudere su note agrumate.  Il sorso è fresco, leggermente sapido e chiude su una nota leggermente ammandorlata.

L’ultimo calice è stato il “Belmonte”: 100% Vespaiola ma in questo caso il vino affina per 12 mesi in botti di legno di acacia da 500 litri. A differenza del precedente, si caratterizza per un colore leggermente più carico e da sentori più strutturati e speziati. Il sorso è comunque fresco e minerale.

La zona di Breganze è stata una piacevolissima riscoperta. Sapori autentici e una coltivazione della vite ancora genuina e non intensiva rendono questo territorio affascinante e meritevole di una visita per gli amanti di terre ancora legate alle tradizioni.

Nonna Maria: un eredità che va custodita.

a cura di Fabio Formato

Siamo a Termoli per goderci le ultime giornate di sole prima che l’autunno abbracci le spiagge con venti e mare grosso.
Sul corso principale, nei pressi del centro storico, vari e variegati sono i ristoranti di alcuni dei quali ne abbiamo già parlato in altri articoli.
Il sabato sera passiamo da “Nonna Maria”.

“Nonna Maria” sala


Nonna Maria può definirsi un luogo del cuore. Proprio la signora Maria, di questo locale ne faceva la sua casa dove accoglieva proprio coloro che oggi custodiscono questo luogo.
Ci accolgono i due Antonio, collaboratori del ristorante, i quali con il loro brio riescono ad essere onnipresenti su tutti i tavoli.
La location, con muri in pietra e colori caldi, ci accoglie come in quelle osterie di un tempo: suoni e tipici profumi di cucina che ti avvolgono preparandoti, se mai ce ne fosse bisogno, al pasto.

Tagliolino ai frutti di mare


Incontriamo Rocco, proprietario e pescatore di lungo corso, il quale con orgoglio ci descrive le diverse tecniche di pesca che le sue barche utilizzano solcando i mari di mezza Europa per garantire in primis al “Nonna Maria” una qualità della materia prima di assoluta eccellenza.

Gnocchetti alla termolese

Poi c’è l’attenta signora Giuliana, che di nonna Maria ha raccolto l’eredità, le ricette e la passione per la cucina termolese. Rocco e Giuliana trasmettono una grande emozione per quello che fanno. Entrambi potrebbero godersi la pensione ma sono lì perché la loro vita e il loro mondo sono “Nonna Maria”.

La frittura


Arriva Azzurra, figlia di Rocco e Giuliana, che si gode le vacanze in famiglia, prima di rientrare in Inghilterra, per raccogliere le nostre richieste. Come sempre ci affidiamo alle loro mani per assaporare le migliori portate del ristorante.


Ed eccole che arrivano: un tagliolino all’uovo con frutti di mare (delicato e gustoso); lo gnocchetto alla termolese che ci rapisce i sensi lasciando la pirofila limpida. Infine, Rocco gioca il jolly: la frittura. Il pesce è assolutamente delizioso, ottima consistenza (i merluzzetti che ve lo diciamo a fare): insomma una frittura Top!

Con i due Antonio e Azzurra


Le sorprese però non finiscono qui: le Ghiottine Tiziana e Stefania ci hanno fatto preparare una torta per festeggiare i nostri compleanni. La torta scelta da Giuliana e Rocco ad una pasticceria termolese è davvero deliziosa.
Concludiamo con un consiglio per il “Nonna Maria”: continuate a custodire questo patrimonio culturale e umano, non lasciatelo andare via. La Nonna Maria, quando nel 1981 lasciò la sua casa per far nascere il ristorante ne fu entusiasta. Dopo quarant’anni crediamo che lo sia ancora.
A presto vederci!

Con Giuliana e Rocco

La Maison di Chef Di Costanzo

a cura di Francesco Di Gaetano

ingrasso

Nell’antica casa familiare Di Costanzo, sulle colline ischitane del Montetigniuso, immersi nel verde, tra diverse varietà di fiori e piante, ha inizio il viaggio sensoriale e culinario al Daní Maison.

Il ristorante di Chef Di Costanzo vanta **Michelin, tre Forchette Gambero Rosso; è parte dell’associazione “Les Grandes Tables du Monde” ed inoltre è stato inserito dalla rivista Forbes nella speciale classifica dei 10 ristoranti più cool del mondo 2021, classificandosi al quarto posto.
Di Costanzo è uno dei fautori dell’ ormai noto “Ischia Safari” giunto alla quinta edizione, con l’obbiettivo di supportare il mondo della ristorazione, attraverso eventi enogastronomici in collaborazione con altri chef dell’ isola e non, il ricavato viene impiegato per offrire un periodo di formazione a studenti meritevoli degli istituti alberghieri della regione.

La location del Daní Maison è fiabesca e stimola la fantasia già dall’ingresso, dove si trova un portoncino in legno verde smaltato, che sembra essere sospeso nell’aria, dall’ altra parte il panorama offre uno scorcio stupendo di Ischia Ponte.
Varcata la soglia ci si immerge in un giardino bucolico che si sviluppa in due aree collegate da un ponte; oltre alle tantissime specie di piante troviamo varie opere dell’artista napoletano Lello Esposito, che danno un tocco magico alla passeggiata in compagnia di Marianna Schiano, un vero “Cicerone” (nonché compagna di Nino Di Costanzo) che guida l’ospite all’aperitivo esterno mettendolo a suo agio.


Prima dell’aperitivo si ha il piacere di conoscere Roberto Tornabene ( maitre e sommelier) che propone dei calici in abbinamento all’aperitivo ( nel pairing non poteva mancare il Dom Perignon del quale il ristorante è Ambassador).
La sala interna è minimal ed accogliente, con qualche piccolo inserto artistico variopinto a dare un tocco di calore; dotata di pochi tavoli si ha la possibilità anche di cenare nei pressi del pass, così da vedere la brigata all’opera.
L’esperienza con la cucina del “Daní Maison” è appassionate, appagante e sorprendente; il consiglio è quello di affidarsi completamente allo chef, così da poter esplorare tutte le sfaccettature della sua arte culinaria.

sala interna

“Sfatiamo il falso mito che nei ristoranti stellati si mangia poco”, queste le parole dello staff che esprimono totalmente l’essenza del ristorante, dove il percorso degustazione ricco di molteplici portate, permette al commensale di vivere a pieno l’esperienza, assaporando molte delle creazioni dello chef.

Crudo di mare


I piatti ci hanno colpito tutti indistintamente, ma vogliamo citare quelli che ci sono rimasti nel cuore sia per le sensazioni, sia per le emozioni che ci hanno trasmesso; come ad esempio il profumatissimo crudo, dove la qualità del prodotto è percepibile già al naso con un intenso “profumo di mare”, il piatto è composto da un mosaico di mattonelle di vetro ognuna con un assaggio diverso, tutti eccezionali.

Oppure come l’emblematica pasta e patate, celebre piatto tipico della tradizione gastronomica napoletana, in una versione rivisitata e raffinata, a base di patate bianche, viola e patate dolci, servita in un imponente piatto, che accoglie in un tripudio di colori, ben 22 varietà di pasta diversa, accompagnata da pezzetti di pancetta e chips croccanti, oltre ad una spuma di provola affumicata e parmigiano.

Pasta e patate


Questo piatto è un perfetto connubio di tecnica, ricercatezza e rispetto delle materie prime, senza mai perdere di vista i sapori della tradizione che ci riportano alla cucina delle nostre nonne.

Il “circo”


Infine non possiamo non citare la giocosità creativa dello chef col piatto del ”circo”, un dolce che fa tornare bambini. Questo dessert non è un semplice dessert, ma un circo vero e proprio fatto di piccole giostre, clown , popcorn e zucchero a velo; tanti piccoli assaggi tra caramelle e riproduzioni di hot dog dolci, lasciano il commensale a bocca aperta e lo trascinano in quella incredulità un po’ infantile che gli permette di scoprire con immensa sorpresa ogni assaggio.


Appena conclusa la cena abbiamo avuto il piacere di complimentarci con lo Chef, che ci ha invitato personalmente a fare una visita alla cantina del ristorante. Quest’ultima è allestita come se fosse una galleria d’arte, dove vengono esposte vere e proprie opere, tra cui spiccano selezioni di Romanèe-Conti e di Dom Perignon. Durante la passeggiata abbiamo scoperto che la collaborazione con Dom Perignon nasce da una passione dello Chef Di Costanzo per le bollicine, infatti sono presenti vari percorsi degustazione in abbinamento alle Plenitude di Dom Perignon e al Trento DOC Giulio Ferrari di diverse annate.

In conclusione la cucina dello chef Nino è una continua sorpresa, è un viaggio fatto di colpi di scena, dove lo spettacolo che viene proposto appaga non solo la vista ma anche il palato. Ogni piatto richiama emozioni diverse una dopo l’altra fino alla fine, e terminata l’avventura si ha solo voglia di ritornare.

con Chef Nino Di Costanzo

CHEF ANGELO PAGANO: CONVERSIONE DI EMOZIONI

A cura di Renato Maffei

Il Molise è una regione che, nonostante appaia defilata rispetto ai grandi circuiti, ha una tradizione turistica ed, in particolare, enogastronomica davvero unica.

Dal mare alle montagne, il Molise racchiude davvero sapori autentici: la tradizione e la genuinità ne sono gli ingredienti principali.

Ed in questa autenticità si vanno ad innestare delle realtà ristorative di eccellenza. Sapori tradizionali e innovazione di tecnica e di abbinamenti: contesto, questo, in cui abbiamo ritrovato lo chef Angelo Pagano, alla sua seconda esperienza di gestione in quel di Campobasso.

Affiancato da un interior design, ha riportato alla luce una vecchia “discarica” tipica del centro storico campobassano, ricavandone una sala dal fascino unico. La botola di scarico dell’immondizia diventa un lucernario che fa luce ad una grotta piena di pietre. Il resto della sala (in cui, storicamente, erano poi ammassati i rifiuti calati dall’alto) pietre e tufi fanno da cornice ad un arredamento contemporaneo, comodo ed accogliente.

Giochi di luce e colori fanno trasparire le prime emozioni che vengono arricchite dai piatti in cui la modernità degli abbinamenti e delle tecniche di preparazione nonché della mise en place sono le fondamenta di quello che sarà poi l’assaggio.

La freschezza degli ingredienti, la presentazione e, naturalmente, il gusto essenziale e, al contempo, d’effetto sono la parte finale delle emozioni provate nell’esperienza targata chef Pagano. Ma non solo, i contrasti del dolce dei gamberi e quello dell’acidulo del limone, ad esempio, rendono l’idea innovativa di Angelo molto azzeccata e per nulla scontata.

Ma noi ci emozioniamo anche quando ci racconta la sua storia.

Una storia che inizia dall’entroterra campano: Aversa, in provincia di Caserta, racchiude le sue origini. Poi si è trasferito a Rimini, dove ha frequentato la scuola alberghiera e vi ha vissuto per 19 anni. Nella riviera romagnola ha mosso i primi passi nel faticoso mondo della cucina.

La sua storia prosegue, poi, in tutt’altro ambito: per 8 anni aveva iniziato un percorso di dedizione religiosa. Ma l’amore e la passione per la cucina l’hanno portato a “riconvertirsi” al gusto e al buon cibo (mai come peccato!). Quando gli chiediamo delle sue esperienze più importanti, considerati i piatti che ci ha proposto, la sua risposta ci ha sorpresi: mi sono formato da solo, partendo dalla sua prima esperienza molisana alla frittura di patatine. Con le altre esperienze campobassane ha avuto modo di lavorare i prodotti ittici, rilevato attività.

Oltre al faticoso lavoro, la pandemia non ha aiutato la sua precedente attività.

Insomma, un turbinio di emozioni che lo hanno portato a realizzare questa sua piccola creatura.

Ma, come emerso in precedenza, il lavoro e le nuove esperienze non lo spaventano. Anzi, lo ringalluzziscono: a breve, oltre ad “Emozioni”, vi sarà anche la realizzazione di un ennesimo progetto. Non vi sveliamo tutto se non che si chiamerà MATERIA e sarà una “trattoria contemporanea” che, a nostro parere, ci emozionerà al pari del locale appena visitato.

In bocca al lupo grande Chef.